Caro professor Ichino

condividendo le considerazioni di Cazzola – che lei evidentemente sposa – sulla previdenza integrativa, mi permetto di presentare alcune idee in proposito e di chiederle perché, a fronte delle palesi insufficienze nella visuale di un futuro della previdenza equiparato al futuro del lavoro, che sappiamo ampiamente incerto, non si faccia promotore lei, anche semplicemente a testimonianza di una nuova logica del pensiero sulla regolamentazione del lavoro, di una proposta generale in merito.

Infatti, anche se è pensabile che alla base degli stenti della previdenza integrativa, oltre la crisi economica generale, ci sia la visione di uno Stato mamma che, alla fine, tutto copre e tutti consola, anche quando non meriterebbe (vedasi la pochade degli esodati e quella degli obbligazionisti subordinati), continuando così a richiedere una sempre maggiore tassazione fiscale e previdenziale, in aggiunta ad una totalizzante pervasività, bisognerebbe fare una battaglia di libertà.

Perciò, a parte gli esiti della crisi economica, bisognerebbe avviare un cambiamento culturale ampio da tradurre in atti piuttosto che in norme e, semmai, in norme abrogative, seguendo le linee dell’opting out e lasciando i cittadini, lavoratori o meno, liberi di costruirsi la propria way of life previdenziale come meglio credono, fissando 2 soli cardini: 1. la totale libertà di scegliere a chi affidare il proprio risparmio previdenziale, 2. l’esenzione di questo risparmio da tassazione presente e futura.

Ovviamente bisognerebbe stabilire le caratteristiche di tali raccoglitori di risparmio previdenziale e i controlli a cui dovrebbero essere soggetti come, eventualmente, i limiti dell’esenzione fiscale del risparmio previdenziale, ma non sarebbe necessario molto altro per dare avvio alla costruzione di un mercato della previdenza in cui potessero affermarsi i soggetti più efficaci nella gestione del risparmio, come il fondo Cometa, o soggetti etici.

Ad ogni modo soggetti che possano essere scelti liberamente dal singolo cittadino/lavoratore con un minimo di attenzione ma, sempre, senza vincoli di sorta per i cambiamenti, con assoluta portabilità del proprio peculio, da un gestore all’altro, senza penalizzazioni di sorta. E anche questa potrebbe essere una nuova, moderna finalizzazione della funzione di un sindacato che smettesse di coltivare, per non commendevoli ragioni, i propri orticelli, ovvero i solitamente asfittici fondi pensione di categoria.

Resta chiaramente il problema del vecchio/nuovo/super INPS, con tutte le sue diverse, anche contraddittorie funzioni, da risolvere, così come il problema della transizione dalla ripartizione alla capitalizzazione. E, come al solito, ci sono le due strade della solidarietà, una che passa da categoria a categoria, da nuovi iscritti a vecchi iscritti; l’altra che passa attraverso la fiscalità con il contributo dello Stato a copertura di una ripartizione, anche rivista e corretta.

E, forse, non sarebbe male, dato la mole della proprietà dello Stato italiano, sia in beni immobili che mobili, prendere in considerazione un modello come quello cileno, che gli economisti della scuola di Chicago avevano suggerito, a suo tempo, a Pinochet e che, inizialmente, aveva funzionato, che preveda il graduale trasferimento all’ente di previdenza, ovvero ai cittadini/lavoratori di asset pubblici, che non si possano o non si vogliano vendere.

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