Federalismo? no grazie

Da anni, quando sento parlare, con voce più o meno cavernosa, di federalismo mi viene in mente, la battutaccia di Fantozzi alla fine della proiezione del film La corazzata Potemkin, al cineforum: “a me sembra una boiata pazzesca”.

Un Paese come il nostro, costituito in Stato unitario da pochi decenni e attraverso un meccanismo di conquista e di migrazione non ancora completata, di tutto ha bisogno meno che di federalismo.

Un Paese con una storia di autonomie comunali, di repubbliche, ducati, granducati, principati come l’Italia; un Paese con cento capitali, con mille campanili, con tradizioni secolari di grande valore e dignità, non può rinunciare allo strumento dello Stato centrale.

Un Paese piccolo e ricco di bellezze più che di risorse, a parte la risorsa incommensurabile dell’ingegno e dell’operosità dei suoi abitanti, non può rinunciare ad una rappresentanza unitaria dei propri interessi di Nazione in confronto, e se del caso, in contrasto con le altre Nazioni, dell’Europa e del Mondo.

Ma, forse, è soltanto questione di parole, è soltanto questione di intendersi.

Chi parla in buona fede di federalismo, con maggiore o minore enfasi, non è contrario allo Stato unitario: E’ CONTRARIO A QUESTO STATO UNITARIO.

E’ contrario all’inefficiente invadenza giurisdizionale; all’astrusa oppressione amministrativa; all’affannosa intrusione fiscale.

E’ contrario all’irresponsabilità impunita dei pubblici dipendenti; al mancato riconoscimento del merito, ovunque esso si esplichi; alla disattenzione nei confronti della volontà popolare, chiaramente espressa.

Risolviamo questi problemi e di federalismo, in senso più o meno proprio, non sentiremo più parlare.

Diamo allo Stato quello che è dello Stato e alle autonomie locali quello che è delle autonomie locali ed avremo presto quel che la gente desidera veramente.

Facciamo sì che il pubblico gestisca quella minima quantità di reddito nazionale che è strettamente necessaria per le funzioni e per i servizi che soltanto l’Ente pubblico può gestire.

Lasciamo invece che il privato si occupi di tutto quanto può essere gestito o mobilitando il principio di convenienza o attivando meccanismi di volontariato.

Allora otterremo un rifiorire del nostro Paese con tutte le sue incredibili energie volte al miglioramento delle condizioni di ciascuno e, contemporaneamente, di tutti.

Smettiamo di spendere il debito e ricominciamo ad accumulare ricchezza; così potremo sovvenire quanti non potranno partecipare alla nuova corsa all’oro.

Ma sia ben chiaro! coloro che non vorranno correre non dovranno mettere i bastoni fra le ruote e dovranno rassegnarsi a restare nel loro paradiso perduto.

giugno 1997