Negli ultimi tempi si è parlato e si è scritto molto in materia di immunità e, spesso in maniera imprecisa se non volutamente tendenziosa, tanto che forse vale la pena tentare un breve riepilogo che definisca correttamente i termini della questione.
Sul piano giuridico dicesi immunità la esenzione (a favore di singole persone, corporazioni o categorie) da determinati obblighi od oneri imposti, in via generale, dalla legge. (Battaglia).
Quindi, escludendosi ormai definitivamente la possibilità che esista un soggetto posto al di fuori e al di sopra dello Stato (legibus solutus), e non considerando neppure quelle particolari immunità che riguardano i diplomatici e i Capi di Stato stranieri, possiamo ritrovare nel vigente ordinamento costituzionale italiano due diversi tipi di immunità legali: quella 1, parlamentare e quella 2, presidenziale e un tipo di immunità di fatto: quella 3, giurisdizionale.
1. L’art. 68, 1 Cost, prevede che i membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, con la conseguente necessità di autorizzazioni per l’azione penale, l’arresto e la perquisizione.
Ciò nella logica, comune a tutti gli ordinamenti costituzionali, di assicurare al parlamentare, non in quanto persona ma in quanto rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), piena libertà di espressione e di azione politica, salvaguardandolo da eventuali azioni penali che sembrino o siano strumentali ad una qualche ideologia politica, piuttosto che ad una corretta applicazione del principio, forse superato, della obbligatorietà dell’azione penale da parte del pubblico ministero (art. 112 Cost.).
2. L’art. 90, 1 Cost. prevede che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne per alto tradimento o per attentato alla costituzione, anche in relazione al fatto che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità (art. 89, 1 Cost.).
Ciò in ossequio al principio che il Presidente della Repubblica è capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale e, quindi, svolge una funzione di garanzia e non di indirizzo politico; almeno non considerando le eventuali prassi distorsive.
Peraltro, secondo il Mortati, l’immunità presidenziale si estenderebbe ai reati, diversi dall’alto tradimento e dall’attentato alla costituzione, eventualmente commessi durante la carica, e sempre strettamente inerenti all’uso dei poteri che essa comporta, di cui il presidente sarebbe chiamato a rispondere dopo la cessazione dalla carica stessa, trattandosi non già di un caso di “non imputabilità” bensì solo di “improcedibilità” dell’azione penale.
3. I magistrati invece, malgrado sia previsto che la giustizia è amministrata in nome del popolo, che i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.) e che il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme dell’ordinamento giudiziario (art. 107, 4 Cost.); godono di una immunità di fatto determinata da una combinazione di norme giuridiche e di condizioni politiche.
Da un lato la giusta tutela della indipendenza dei giudicanti, da altro lato la ipertrofia del diritto penale e, con esso, l’iperattivismo dei magistrati della pubblica accusa, nonchè la mutata condizione dell’organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura, quasi assunto ormai ad organismo di rappresentanza politica della corporazione e, infine, la timidezza del Parlamento, troppo tristemente memore di una lunga stagione di terrore congiurano a determinare questa illecita immunità.
Non solo, ma anche prima di tale stagione il Legislatore, tradendo il voto popolare largamente maggioritario espresso in occasione del referendum sulla giustizia giusta e definendo una normativa di pressochè impossibile applicazione, comunque non applicata fino ad ora, ha fatto si che i magistrati non rispondano mai di nulla.
settembre1998