Intelligenza collaborativa

Dalla lettura di “intelligenza collaborativa” di Marco Minghetti si ricava tutta una serie di concetti importanti per  pensare l’impresa 2.0 e tutta una serie di indicazioni utili per fare l’impresa 2.0 ma, pur trovando un giusto e condivisibile invito alla serendipity, si fatica molto a digerire tutte le varie distinzioni, i passaggi, le fasi con le diverse regole che vengono indicate, illustrate, dettate, come se si trattasse dello schema di montaggio di un macchinario, piuttosto che dello sviluppo di un percorso verso un diverso stile di relazioni umane nel lavoro.

E ripensando alle indicazioni di Taylor sulla ergonomia delle prestazioni lavorative fisiche e ci si sente come se si fosse di fronte a una ergonomia delle prestazioni lavorative mentali. Ovvero come se non si trattasse di un humanistic management, vero e proprio, ma di un nuovo scientific management, nel quale il comando e controllo vengono soltanto mascherati dall’approccio collaborativo, supportato da tutti i social media possibili.

Come se si volesse dare tutta una strumentazione tecnica al manager 2.0, non per fargli riconoscere il valore dell’altro, dipendente o collaboratore, quale persona tanto ricca di risorse da poter arricchire l’azienda più di quanto l’azienda possa arricchire lui, soprattutto se messo in condizione di esprimersi liberamente e di confrontarsi positivamente con l’altro, diverso da lui – sempre essendo l’uno e l’altro accomunati da uno scopo comune, del cui perseguimento poter essere fieri – ma poter declinare diversamente il potere e ottenere i migliori risultati.

Forse tutto ciò è inevitabile, specialmente in grandi o medie organizzazioni produttive, come del resto in un ensemble di strumentisti senza un direttore ci vuole pur sempre uno che dia l’attacco, così resta inevitabile costruire delle guide, delle metodiche, delle infrastrutture, per la comunicazione e la condivisione, anche incanalando e moderando i flussi delle informazioni e degli scambi. Però resta una sorta di amarezza nel constatare che le premesse umanistiche non sembrano portare ad altro che a nuovi schemi.

Può darsi che tale impressione discenda da un qualche impulso romantico, del tutto ingiustificato di fronte a un management che, per quanto umanistico, sempre management è, con l’indefettibile dovere, per quanto responsabile, di fare il meglio per portare l’impresa, anche 2.0, al profitto e al successo di mercato. Ma le persone, come tali – anche parlando di intelligenza collaborativa – non si sentono e sembra di vederle come tanti personal che, messi in rete, riescano a dare una potenza di calcolo maggiore di quella di qualunque, anche grande, unità centrale.

http://www.marcominghetti.com/opere/lintelligenza-collaborativa-verso-la-social-organization/