Fermo restando che, come ha certificato l’INAIL, la sicurezza del lavoro nel settore delle costruzioni è migliorata e continua a migliorare, rispetto al passato, anche in conseguenza della crisi che sta rendendo la popolazione del settore più qualificata, anche in relazione alle sfide economiche e produttive, bisognerebbe fare maggiore attenzione alla stratificazione imprenditoriale per poter impostare strategie di miglioramento veramente efficaci.
Infatti, le direttive comunitarie sui cantieri temporanei o mobili, debitamente recepite dalla normativa italiana, immaginano una impresa ben diversa dall’impresa tipica italiana: vedono un’impresa munita di una struttura operativa e direttiva organizzata e stabile, mentre le nostre piccole, piccolissime e anche medie imprese, di solito, hanno una struttura più labile anche se, forse, più efficace, dal punto di vista operativo.
E sappiamo bene come, per l’efficacia operativa, le regole della sicurezza possano essere controindicate, se non ben metabolizzate e, anzi, integrate nella “normale” operatività; questo vuol dire che lo sforzo necessario per raggiungere un simile obbiettivo deve essere legato tanto al “condizionamento” degli operatori di cantiere, quanto all’impostazione del lavoro nel cantiere da parte degli organizzatori, imprenditori o direttori di cantiere che siano.
C’è quindi bisogno di una cultura del rischio che, senza intaccare l’efficacia operativa del cantiere, eviti le condizioni del rischio alla radice e induca comportamenti coerenti in automatico, anche tenendo conto della variabilità delle condizioni dei cantieri e delle opere da realizzare. Di conseguenza non si può più prescindere da un qualche tipo di qualificazione sia delle imprese che degli operatori, che sia una condicio sine qua non per poter lavorare nel settore.
Infatti il cantiere è come una nuova fabbrica, pur essendo destinato a durare pochi mesi o settimane, se non giorni, senza poter essere organicamente strutturata, a parte il fatto che, in molti casi, può trovarsi inserito in una realtà strutturale o anche produttiva preesistente e attiva, perciò dovrebbe avere un qualche tipo di agibilità a priori, che può essere data soltanto dalla competenza o esperienza, comprovata o certificata, di chi lo apre.
Sulla qualificazione degli operatori manuali il discorso potrebbe essere facile perché, se si accettasse l’idea che in un cantiere edile si entra soltanto se si dispone di adeguata formazione di mestiere e, in quanto tale, anche di sicurezza, si potrebbero mobilitare le strutture che il settore stesso si è dato, attraverso la pariteticità della formazione e della sicurezza, per farne il portale di accesso sicuro, o di rientro, al lavoro edile.
Così come potrebbe essere facile a farsi – volendo – per le imprese, che a tali strutture paritetiche, o ad altre strutture che dessero analoghe garanzie di qualità del risultato, dovrebbero aderire necessariamente per poter esercitare la loro attività, e questo a tutela non soltanto della concorrenza ma anche e soprattutto della utenza, dato che i costruttori realizzano interventi destinati alla convivenza di tutti, fra noi e con l’ambiente.
È incredibile come, ancora nel 21° secolo, la sicurezza e l’igienicità dell’abitare sia tenuta in così scarsa considerazione e ci si preoccupi soltanto, sulla scorta delle solite direttive comunitarie, soltanto di singoli rischi, tipo il rumore, e si cerchi, abbastanza inefficacemente, di attenuare i rischi catastrofali, come quelli legati ai terremoti, o di raggiungere migliori risultati di efficienza energetica. Mentre disponiamo di vecchie norme sulla igienicità dei fabbricati che vengono applicate in maniera tabellare.