Le forze sociali sono diventate deboli

Negli ultimi giorni sono apparsi diversi articoli in memoria della concertazione, nella stagione della quale si potevano trovare gli elementi di un neo-corporativismo che, al di fuori del suo contesto originario, poteva dare buoni frutti, come effettivamente ha dato, sebbene tali frutti si siano rivelati avvelenati e siano stati tossici, sia per la nostra società che per le stesse parti sociali.

Infatti la concertazione, che in certo qual modo era un derivato del consociativismo parlamentare, è stata alla base dello sviluppo di un sistema sociale ed economico amorale e irresponsabile, nell’ambito del quale il prezzo degli accordi veniva di norma posto a carico della collettività, attraverso tutte le diverse modalità della redistribuzione accettate dai rappresentanti di uno Stato sedicentemente sociale.

Perché con la concertazione tutti guadagnavano, fingendo di concedere qualcosa di quello che veniva richiesto e, in molti casi, dando effettivamente ciò che era stato soltanto promesso o anche di più, senza considerare il migliore interesse della collettività. E questo approccio vincente alla terza potenza sembrava pure moderno ed efficace, mentre era soltanto mistificatorio.

Così, per decenni si è mantenuto uno status quo nel quale a vincere veramente sono stati sempre e soltanto i peggiori, con la conseguenza tragica di costruire una società civile, come quella attuale, immobile, cristallizzata, delusa. Perché nessuno ha sentito il dovere oltre che il piacere di assumersi il rischio del cambiamento e di esercitare le sue responsabilità.

Ora che si sta cercando di rimettere le cose al loro posto, anche perché non è più possibile, in mancanza di credito,  scaricare sulle generazioni future i costi necessari all’acquisto del consenso più ampio, quando la politica sta cercando di recuperare il primato che le spetta, bisogna fare molta attenzione a tagliare tutti gli innumerevoli fili con cui i lillipuziani delle parti sociali hanno legato il gigante Gulliver che è lo Stato.

Infatti se, con l’avvento della Repubblica, è stato facile sgombrare il campo dalle strutture dello Stato corporativo, non sarà altrettanto facile sbarazzarsi delle superfetazioni del neo-corporativismo, ormai avvinto al corpo dello Stato come una pianta parassita, alla quale non basta tagliare la radice principale, attraverso il diniego della capacità contrattuale, ma di cui bisogna tagliare tutte le altre, diverse radici secondarie.

Affinché le parti sociali, una volta spogliate del loro abito istituzionale e private delle nicchie dentro l’amministrazione, abbiano modo di ripensare le loro organizzazioni e di rifondarle in uno spirito di servizio alle comunità di produttori di riferimento, anche in una logica di concorrenzialità che, come per tutte le attività, dovrà basarsi sulla qualità.