Come si può resistere di fronte alle continue ondate di fango che vediamo abbattersi sulle nostre istituzioni, senza levare un grido di protesta? senza domandarsi: che fare?
Premessa: tutti noi abbiamo sempre saputo tanto, ed eravamo pienamente in grado di immaginare il resto, e vivevamo bene lo stesso, anzi vivevamo meglio, finchè è durata.
Sapevamo che c’era chi approfittava dello Stato sociale, immaginavamo chi era, sapevamo come ciò avveniva e ci riservavamo, forse, di utilizzare queste conoscenze in caso di bisogno; sapevamo che c’era chi evadeva le tasse, tanto quanto era possibile, e chi era, immaginavamo come faceva e non dubitavamo che avremmo fatto lo stesso, se soltanto avessimo potuto.
Diagnosi: quello che abbiamo costruito in Italia dal dopoguerra ad oggi non è uno Stato sociale, ma un sistema assistenziale e clientelare in cui si comprava il consenso delle categorie più forti e, sotto lo schermo della solidarietà, si costruiva una rete per intrappolare, materialmente e moralmente, le categorie più deboli.
In questa palude mefitica hanno nuotato per anni e si sono ingrassati topi e bisce d’acqua che, malgrado tutto, fanno resistenza non solo ad uno smantellamento, ma anche semplicemente ad un ridimensionamento di un sistema in cui, malgrado enunciazioni virtuistiche, regna lo spreco e la truffa.
Prognosi: riservata e tendenzialmente infausta; perchè dobbiamo deciderci a smontare questo meccanismo dissipatorio segnalando dei criteri logici o pratici molto semplici che le categorie più deboli, nominalmente, dovrebbero accettare nel loro stesso interesse.
Primo criterio (aiutati che tutti ti aiutano): il sistema deve coprire i grandi rischi, completamente e gratuitamente, i piccoli rischi, che sono anche un certezza, devono essere coperti attraverso schemi assicurativi privatistici; sono ammissibili variazioni sul tema ed eccezioni per casi particolari, predefinibili o definibili caso per caso, da mantenere sempre nei limiti di spesa stabiliti.
Secondo criterio (efficienza-convenienza): il sistema deve consentire che quanti operano al suo interno siano avvantaggiati o svantaggiati dai risultati positivi o negativi di quanto dipende dalle loro scelte o non scelte e dalle loro attività o inattività; possiamo anche accettare una modica quantità di corruzione a fronte di risultati positivi, mentre di fronte a risultati negativi dobbiamo far valere la responsabilità personale, economica e civile, fino al limite del carcere, non oltre, infatti chi ruba soffre più ad essere spogliato che ad essere incarcerato.
Terzo criterio (solidarietà): il sistema deve essere vincolato a saldi definiti, per cui ciascuno deve sapere che la cosa pubblica è di tutti, non è di nessuno; allora se si largheggia in qualche cosa bisogna ridurre qualcos’altro: se si spende male o inutilmente si tolgono risorse alle iniziative di cui c’è veramente bisogno.
Che fare? accantonati, per il momento, il primo e il secondo criterio, possiamo tentare di applicare, anche in mancanza di schemi legali specifici, il terzo criterio: denunciando, ove possibile, coloro che la pretesa solidarietà attuale volgano indebitamente a loro esclusivo favore.
Una noia, una fatica, un rischio, non adatti a tutti ma neppure a nessuno: speriamo che almeno qualcuno, ogni tanto, torni a lottare per il diritto.
maggio 1997