Non ti pago

Non tutti, forse, hanno presente questo lavoro teatrale di Eduardo De Filippo.

Infatti viene rappresentato di rado; anche la televisione di Stato, purtroppo, non ripropone più le memorabili interpretazioni dei grandi attori del teatro italiano.

E’ sicuramente una storia napoletana questa che Eduardo, con la sua maschera e con il suo dialetto largo, interpretava con grande maestria.

Una storia di lotto, di sogni e, perchè no, d’amore; ma quest’ultima parte non ci interessa.

Il protagonista, Ferdinando Quagliolo, è il proprietario di un banco lotto che ospita in una stanza dell’abitazione, posta sopra il banco, un dipendente che corteggia la figliola, consenziente, di Quagliolo, che invece è contrario a questa propensione della giovane.

Si da il caso che il dipendente di Quagliolo, dormendo nella camera da letto della casa di Quagliolo, faccia un sogno e veda lo Zio di Quagliolo, predecessore di questi al banco lotto, che gli da dei numeri

Ovviamente il dipendente di Quagliolo gioca i numeri dello Zio di Quagliolo al banco lotto di Quagliolo e vince.

Ma Quagliolo gli dice: non ti pago.

Qual’è il ragionamento di Quagliolo: eri in casa mia, nella mia camera da letto, mio zio voleva venire in sogno a me e a me dare i numeri sicuri, quella vincita è mia, non tua, posso semmai rimborsarti la giocata.

Come va a finire è facilmente immaginabile: tutti i Quaglioli di questo mondo finiranno sempre per pagare.

La gente del quartiere, amici e conoscenti, la moglie e, da ultimo, la figlia, ansiosa di coronare il suo sogno d’amore con il giocatore, non lasciano scampo a Quagliolo che acconsente al matrimonio della figlia, a cui assegna una cospicua dote, ma ottiene il riconoscimento del suo diritto alla vincita al lotto.

E’ il furto di un sogno che ci fa ripensare all’Eduardo di non ti pago.

Quando tutti i giorni ci rubano uno dei nostri sogni, viene la tentazione, forte, di dire NON TI PAGO e, non avendo una figlia da concedere in matrimonio ai ladri di sogni, che si sono già mangiati la dote, come facciamo ad avere giustizia?

novembre 1996