Nuovi paradigmi

Tutte le categorie della conoscenza e della attività umane sono andate in crisi, tanto che si parla genericamente di un salto di paradigma come una “formula che mondi possa aprir” ci, senza tuttavia indicare specificamente in che cosa consista questo salto e se si tratti di un salto in alto o in lungo, di un salto senza o con l’asta, di un salto singolo o triplo, quando è forse più probabile che si tratti di un salto di tempo.

Ma se, nel campo delle scienze naturali, tale indeterminazione non ha nessuna particolare rilevanza perché la comunità scientifica provvede immediatamente alla revisione e validazione delle eventuali nuove leggi naturali, anche sulla scorta delle continue scoperte e delle verifiche sperimentali, da cui derivano nuove procedure e applicazioni o nuovi materiali e artefatti, nel campo delle scienze umane, con particolare riferimento a quelle giuridiche, tutto è mediato.

Infatti esiste un legislatore che, a vari livelli e in vari modi, pretende di regolare la civile convivenza emanando leggi giuridiche, con le quali ogni attività debba essere, anche minutamente, disciplinata; controllata prima, durante, dopo il suo svolgimento; sanzionata o repressa; sia nel campo del diritto civile, che in quello amministrativo o penale. Anche se questo deus ex machina, afflitto spesso da un sindrome bulimica, finisce per essere ben poco efficace.

Giacché quanti più sono gli atti e i fatti umani soggetti a regolazione, quanto più questa regolazione è minuziosa e anche inutilmente complicata, quanti più sono gli enti interessati alla medesima, tanto più è difficile che il controllo possa essere diffuso e penetrante, mentre ancor più arduo risulta sanzionare e reprimere le violazioni, attraverso i classici interventi della polizia e della giurisdizione, anch’essi mandati in crisi dalla babele normativa.

Così, mentre tristemente si approfondisce, da un lato, la crisi dello Stato moderno e curiosamente si diffonde, da un altro lato, la iperconnettività della comunicazione moderna, si perdono le antiche, più efficaci meccaniche del controllo sociale, legate alle comunità naturali o elettive, sociali o professionali, che in un passato non poi molto remoto hanno garantito la pacifica convivenza in una progressiva evoluzione del costume e del sentire comune.

E, nello stesso tempo, viene meno la base giuridica, oltre che logica e funzionale dello Stato moderno, anche nella sua nuova dimensione globalizzata, che era la effettività dell’ordinamento giuridico, perché gran parte delle norme sono o evase, o eluse, o detestate, sia per il semplice fatto di esserci, che per come sono e come sono applicate dall’apparato statale, sempre troppo invadente nel fare o nel non fare e, prevalentemente, nel fare male.

Allora sarebbe necessaria una rivoluzione, facendo tabula rasa o, quanto meno, un bagno di sano realismo per cambiare ciò che può essere cambiato, per sopportare ciò che non può essere cambiato, per capire che cosa inserire nell’una o nell’altra opzione. Capendo, soprattutto, che per una vita sociale decente lo Stato sociale deve essere più democratico, ovvero deve avere maggior fiducia nei suoi cittadini, lasciandoli più liberi.

Infatti sappiamo bene quanto sia il libero arbitrio, nato dalla mitica cacciata dal paradiso terrestre, che connota la civiltà umana nel suo sviluppo continuamente accelerato, anche nella sua dimensione cosmopolitica, fino al prossimo confronto con la civiltà delle macchine, nel quale l’etica possa essere un obbiettivo ampiamente condivisibile e condiviso, non mai imposto da una qualsiasi entità superiore o da un qualunque presunto senso comune.