A proposito della conferenza di James Beck a Villa Bottini il 25 giugno 1998 su “arte e coscienza”, nel quadro degli incontri culturali organizzati da Italia nostra, si può dire che il nostro amico americano non si smentisce minimamente e, anzi, rinverdisce la polemica sui poteri forti del restauro e sulla mania per il restauro gratuito e per la pulizia delle opere d’arte.
Beck non parla di Lucca e di Ilaria del Carretto per evitare querele, come dice espressamente, ma si sofferma ampiamente sul famoso, discusso non soltanto da lui, restauro della Cappella Sistina, mostrando molte immagini a supporto della sua tesi.
Una tesi, peraltro, non priva di argomenti convincenti.
Secondo la quale, dal momento che la tecnica a fresco non consente una completa definizione dell’opera in fase di prima esecuzione, è da considerare inevitabile che l’artista sia intervenuto successivamente, con tecniche a secco, per correggere o rifinire l’opera, per il chiaroscuro e altro, tenendo anche conto della prospettiva di visuale del normale spettatore e dell’effetto complessivo che voleva dare alla composizione.
E, in effetti, se si confrontano le fotografie, prima e dopo la cura, si vede una differenza che non sembra poter addebitare alla sporcizia e ai cattivi restauri di un passato, spesso non molto remoto.
Del resto, quando si videro le prime prove della pulizia delle Sibille sorsero spontanee ed immediate non poche e gravi perplessità sulla brillantezza dei colori, ma i responsabili dell’intervento rassicurarono il mondo intero sul fatto che continuando così avremmo recuperato il vero Maestro della Sistina, avremmo potuto vedere di nuovo l’autentico Michelangelo, avremmo apprezzato il colore originale della creazione.
Peraltro, non mancavano riscontri iconografici in proposito: bastava guardare il tondo Doni.
Ma oggi, a restauro completato, se si confronta l’effetto della Sistina, ovviamente utilizzando la documentazione fotografica esistente, si nota con facilità una differenza tragica tra la Sistina sporca di prima e la Sistina pulita di ora: quanta minore forza espressiva, quanta minore profondità, quantum mutatum ab illo.
Si scopre così che, come dice Beck, quello sporco era un grande artista; un artista perso per sempre.
Come è forse, nel diverso caso della Cappella Brancacci, per il Masaccio di Adamo ed Eva, che sono stati spogliati delle foglie che coprivano, indebitamente, a detta dei competenti, le loro vergogne, ma che davano un ben diverso ritmo a tutta la composizione.
Questo è il fulcro della polemica: la pulizia dell’opera d’arte non è assolutamente un procedimento reversibile come, secondo i canoni del restauro moderno, dovrebbero essere tutti gli interventi di restauro; inoltre, senza contare il rischio di eliminare le ridipinture dell’autore stesso, la pulizia ci fa perdere, anche quando rispetta le patine, l’aspetto usato, l’aspetto noto, l’aspetto diciamo amico dell’opera d’arte.
E tutto ciò ad imperio di una casta tecnocratica irresponsabile, nei confronti della quale Beck invoca la mobilitazione della opinione pubblica, perchè sia esercitato un qualche controllo democratico sul nostro patrimonio artistico.
Un concetto questo che non può non destare perplessità nella sua formulazione assoluta, ma che potrebbe portare, in un’ottica in cui a qualunque livello dell’amministrazione pubblica non debba esserci spazio di insindacabilità, ad un esercizio del potere tutorio sul patrimonio artistico meno autocratico e meno autoreferenziale, ad un esercizio della funzione pubblica più partecipato, quanto meno al livello di comunità scientifica e, almeno, per quanto riguarda monumenti unici del nostro patrimonio artistico, del patrimonio artistico universale.
giugno1998