Riflessioni sulla contrattazione sindacale

All’indomani del rinnovo lampo del contratto nazionale dei chimici non ci si può che complimentare con tutti i conservatori, dell’una e dell’altra parte, che valutano più importante una abulica pace sindacale rispetto ad una sana lotta per il cambiamento.

I don Abbondio di una parte, che non hanno creduto di potere, anzi di dovere, forzare la mano negoziale disdettando gli accordi interconfederali sulla contrattazione e, in particolare, le intese che hanno depotenziato l’art.8 della legge n.148/2011, e i tenenti Onoda che non riescono ad accettare che la guerra sia terminata da tempo e continuano la guerriglia nelle jungle contrattuali, stanno riuscendo a convincere anche i più strenui difensori dell’ordinamento intersindacale che, a questo punto, una legge sia necessaria.

Ma, soprattutto, stanno riuscendo a convincere tutti, i lavoratori e le aziende, che le cosiddette Parti sociali non soltanto sono ormai irrilevanti, ma sono anche controproducenti; ovvero che non serve essere iscritti alle rispettive organizzazioni, anzi è più utile non esserlo.

D’altro canto è pensabile che l’ordinamento intersindacale sopravviva con una specie di mutazione genetica che passi attraverso una fase di democrazia diretta, per dir così, o di autogestione tra aziende e lavoratori assistiti, in questa inedita sussidiarietà1, da chi vorrà e saprà interpretare questa fase di cambiamento, che è necessaria, e dalla quale le Parti sociali potrebbero uscire rigenerate, per riprendere il loro ruolo, che è di servizio ai loro iscritti non ai loro componenti.

Peraltro, in mancanza di un nuovo quadro negoziale della modernità del lavoro, che sia definito tra le parti, se una legge sulla rappresentanza potrebbe giovare, se disposizioni fiscali o contributive di favore potrebbero aiutare lo sviluppo del salario e del welfare aziendale, basterebbe che la legge fissasse il salario minimo, chiarendo che questa è la misura della retribuzione sufficiente di cui all’art.36,1 della Costituzione, per ricondurre il contratto nazionale alla sua giusta dimensione  di obbligatorietà per gli iscritti alle parti stipulanti o per quanti accettano di rispettarlo.

Ovviamente servirà che i manager e i consulenti esterni delle aziende, con l’eventuale supporto di negoziatori, si attivino in merito, proponendo nuovi, avanzati scambi tra vari fattori remunerativi e positivi risultati aziendali, ai lavoratori che, essendo resi ben consapevoli del valore delle proposte ed essendo probabilmente assistiti dalle strutture sindacali territoriali, spesso più elastiche delle rispettive centrali, non mancheranno di prendere nella giusta considerazione tali proposte.

Francesco S. Nitti diceva che “noi italiani non facciamo rivoluzioni, facciamo discorsi” ma, quando i discorsi di chi dovrebbe avviare, non una rivoluzione ma una semplice innovazione, continuano ad essere stanchi e logori, bisogna che ciascuno si faccia i discorsi suoi e, soprattutto, i fatti suoi, nell’interesse di tutti2.

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1) Cfr. M. BIAGI, Cambiare le relazioni industriali. Considerazioni sul rapporto del gruppo di alto livello sulle relazioni industriali e il cambiamento nella UE, cit., 536-539 «il principio base dovrebbe essere quello della sussidiarietà. Ogni imprenditore dovrebbe cioè poter trattare al livello considerato più opportuno ed adeguato tenuto conto dell’oggetto del negoziato stesso». «un modello basato su un unico livello di contrattazione, a scelta delle parti e quindi ispirato ad una logica di alternatività tra contrattazione di primo e secondo livello. La struttura della contrattazione collettiva non può infatti essere imposta all’impresa, ma deve essere da questa liberamente condivisa. Occorre restituire libertà nella alternatività tra la adozione di un contratto collettivo inter-aziendale ed il negoziato per ogni singola unità di lavoro, anche sub-aziendale nel caso di siti produttivi collocati in zone geografiche significativamente diversificate». Citato da M. TIRABOSCHI, L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Marco Biagi, in DRI n.1/2012 (http://adapt.it/adapt-indice-a-z/m-tiraboschi-larticolo-8-del-decreto-legge-13-agosto-2011-n-138-una-prima-attuazione-dello-statuto-dei-lavori-di-marco-biagi-dri-n-12012/)

2) Cfr. F. Seghezzi, M. Tiraboschi, Scontro imprese – sindacati: non è solo una questione per addetti ai lavori, in Boll.ADAPT 8 ottobre 2015 http://www.bollettinoadapt.it/scontro-imprese-sindacati-non-e-solo-una-questione-per-addetti-ai-lavori/