Scandalo all’ombra

Oportet ut scandala eveniant? si è ancora opportuno, anche se non riusciamo più a scandalizzarci troppo, o a lungo.

Forse è un effetto del cosiddetto villaggio globale, per cui si passa, tra un notiziario informativo e l’altro, da uno scandalo all’altro, da un pettegolezzo all’altro, indifferenti al fatto che si tratti di una realtà vicina o lontana, di problema serio o non serio, di una questione fondata o meno.

Secondo la regola del quarto d’ora di celebrità per tutti.

Secondo il criterio che soltanto ciò che fa notizia è vero, mentre ciò che non fa notizia semplicemente è come se non esistesse.

Si verifica così un semplice fenomeno per cui la nostra sensibilità, estendendosi a tutto l’universo delle notizie, si assottiglia e, come una bolla di sapone che si è formata rapidamente, soffiando, così dopo ben poco scoppia.

Nel villaggio globale la vita sociale e la vita politica si riducono a club di fan, di cui è più conosciuto il personaggio di grido che il vicino della porta accanto.

In una caserma di un corpo scelto una recluta muore per cause ignote e la trovano dopo tre giorni; in un grande nosocomio un anziano ricoverato si disperde e viene ritrovato quando il suo corpo è già mummificato; in un condominio si avvedono del decesso di una persona che vive sola, soltanto quando il fetore della decomposizione raggiunge le parti comuni.

Ci muoviamo a compassione esclusivamente per le cause che sono pubblicizzate, sponsorizzate e spettacolarizzate; purchè lo spettacolo non duri troppo.

Ci togliamo il pensiero e la soddisfazione dando un po’ di danaro o qualche cosa che non ci serve più.

Ci impegniamo solo quel poco che ci faccia sembrare migliori: piccoli farisei crescono.

Se poi il concerto benefico riserva soltanto le briciole della beneficenza, che fa; se i fondi versati a pro di una buona causa si perdono in mille rivoli o vanno, per gran parte, a beneficio dei distributori, che sarà mai; se le derrate alimentari, i medicinali, il vestiario, raccolti o acquistati, sono dispersi, trafugati, rivenduti, pace.

La sagra delle buone intenzioni è sempre più somigliante ad una fiera delle vanità.

Va bene che tutto è vanità ma, se è vero, come è vero, che c’è un tempo per ogni cosa; se c’è un tempo per parlare e un tempo per ascoltare; forse è giunto il tempo per non parlare e fare, per non ascoltare chi parla per parlare, ma chi non parla pur avendo molte cose da dire.

Di certo non è facile, anzi è sicuramente difficile, ma pure bisognerebbe che almeno qualcuno cercasse di ascoltare i muti gridi di dolore e le tacite richieste di aiuto che, sempre più spesso, da tante parti, si levano.

E, avendo udito, ascoltato, compreso, cerchiamo di fare noi, direttamente, anche di più di quello che possiamo fare, per fugare l’ombra dello scandalo.

dicembre1999