shun feng – la società aperta

” (…) più nel mondo ci son leggi e divieti

più il popolo precipita in miseria (…) ”

Lao Tse – Tao Te Ching VII sec. A.C.

” (…) Coloro che credono nell’uomo quale è, e non hanno dunque abbandonato la speranza di vincere la violenza e l’irrazionalità, devono esigere che a ogni uomo sia dato il diritto di organizzare la propria vita, nella misura in cui ciò è compatibile con gli eguali diritti degli altri.”

Karl R. Popper – Congetture e confutazioni XX sec. D.C.

Gli eterni ritorni delle idee consentono, anche se storicisticamente non è considerato ammissibile, l’accostamento di due filosofi di evi così distanti e diversi.

La regola celeste della vita e del potere di Lao Tse, anche se in un passaggio banale ma non poco significativo, dal momento che viene poi così sviluppato nello shun hua: “dove il governo non è molto attivo/il popolo si trova in abbondanza/dove il governo si ficca dappertutto/il popolo si trova in indigenza (…)”, si riconnette con l’idea della società aperta di Popper che, in sintonia con la propria logica della scoperta scientifica, condanna tutte le idee, utopiche, di società perfetta.

Del resto, se è vero che ogni autentico controllo di una teoria è un tentativo di confutazione, perché, mentre le conferme non sono mai conclusive di qualunque verifica, la confutazione lo è senz’altro; la possibilità di società perfette è stata ampiamente e, forse, definitivamente confutata, nel secolo scorso.

Certamente un ideologo del celeste impero, come Lao Tse, non può nemmeno lontanamente immaginare che cosa sia la democrazia, eppure, per quanto possa sembrare contraddittorio, il governo predicato da Lao nello shou tao: “nel governare gli uomini e nel servire il cielo/niuna cosa è migliore della moderazione (…)” o nel chu wei: “se tu vuoi governare un regno grande/fà come quei che frigge i pesciolini (…)”, secondo la visione generale della vita e del mondo orientale, tipo ssu shih: “metti in pratica il non fare (…)”, sembra vicino a quello della società aperta.

Infatti la logica, funzionale piuttosto che morale, di un impero tendenzialmente centralistico, come il celeste impero e come, perché no, l’impero romano, non poteva che essere di rispetto delle autonomie delle diverse regioni: soltanto il Novecento ha dato agli Stati nazionali, nati dalle frantumazioni degli imperi, i mezzi tecnici per imporre un potere totale.

Ora che, dalla crisi degli Stati nazionali, stanno derivando nuovi imperi, se non un solo, grande impero mondiale, in cui una rete avvolge e connette non soltanto tutti i singoli Stati e le regioni della Terra, ma anche tutti i singoli abitanti del pianeta, la logica funzionale, morale e politica di governo non può essere che quella della società aperta.

Le ideologie ottocentesche, che ancora albergano nei cuori di tanti uomini semplici o che ancora muovono gli interessi di alcuni uomini meno semplici, saranno presto sepolte e dimenticate.

Le costituzioni e le politiche del socialismo reale o irreale, che ancora vigono e sono praticate da governanti illusi od ottusi, saranno presto riformate e sconfitte.

Tale è la forza della idea che, se l’idea della forza, come sembra, non è più perseguibile, il regime universale dovrà essere quello della società aperta: se i governanti non lo comprenderanno subito, i governati provvederanno a cambiarli, quanto prima.

D’altronde, come riecheggiato in tempi moderni, già Lao Tse nello hou chi scriveva che l’uomo saggio “se vuole esser del popolo alla testa/deve metter se stesso alla coda”.

maggio 2000