Se è vero che il diritto è una cristallizzazione del sistema sociale in atto, salvo le eventuali azioni promozionali a sostegno di una evoluzione del sistema stesso in un qualche senso voluto dal Legislatore, in base alle idealità o alle ideologie maggioritarie o semplicemente politicamente corrette del tempo, allora è necessario che il diritto cambi quando il sistema sociale muta, e cambi tanto radicalmente quanto radicale è stata la mutazione. E, ovviamente, quello che vale per il diritto in generale, non può non valere per il diritto del lavoro, in particolare; ammesso e non concesso che il diritto del lavoro debba restare separato dal normale diritto civile.
Sono due i metodi classici per consentire al diritto di rispondere, di tempo in tempo, alla evoluzione della società: il metodo della legificazione e quello della giuridificazione. In altri termini, il criterio continentale della legislazione/codificazione, in base al quale si legifera e si codifica sui comportamenti e sui rimedi, fissando regole sulle quali è esercitabile una limitata attività interpretativa, in fase applicativa o contenziosa, da parte degli operatori e, soprattutto, dei giudicanti, che applicano le fattispecie astratte ai casi concreti. E il criterio di common law, in base al quale è il giudice la fonte del diritto del caso concreto, nel rispetto di principi generalissimi e dei precedenti di altri giudici.
Entrambi i metodi hanno i loro pregi e i loro difetti ma, di là da qualunque tecnicismo, si basano non soltanto su un diverso approccio alla regolazione della convivenza, ma anche e, soprattutto, su una diversa mentalità diffusa, e radicata da secoli, nelle società di tipo continentale o di tipo anglosassone. Mentalità o weltamschaaung che, dopo essere rimaste distinte e separate per secoli, come da frontiere e da barriere economiche e culturali, si stanno avvicinando, anche a seguito della globalizzazione dell’informazione e della conoscenza, oltre che delle produzioni, in questa nuova dimensione in cui la storia è finita, nel senso che è finita la storia del vecchio mondo, perché è cominciata una nuova storia: la storia di un nuovo mondo.
Tuttavia non si tratta di un avvicinamento nel quale entrambe le parti fanno dei passi per venirsi incontro, invece l’avvicinamento che sembra vedersi è caratterizzato da un maggior numero di passi verso il metodo di common law che viceversa. Un po’ come per la lingua: non importa quale sia più antica o nobile, quale sia più armoniosa o musicale, importa quale sia più pratica ed efficace a relazionare i pubblici del mondo globalizzato. Perciò, ammesso che questa visione sia corretta, è necessario un salto di paradigma della legificazione/codificazione continentale che dia al nostro sistema giuridico un maggior grado di efficacia e una maggiore celerità di risposta al cambiamento, basandosi sul principio della sussidiarietà e della pluralità degli ordinamenti giuridici.
Peraltro i salti di paradigma, che sono frutto di un insieme di azioni individuali, volte al miglior soddisfacimento degli interessi dei singoli nella società globalizzata, sono necessariamente anomici, nel senso che si possono ricostruire o semplicemente avvertire soltanto a posteriori, in via di fatto, ricomponendo sociologicamente l’interpretazione del reale nel suo divenire, con lo scopo di individuare le tendenze e le direttrici lungo le quali si vanno indirizzando i nuovi sviluppi della convivenza, del lavoro, della produzione. È difficile, se non impossibile, governarli, ammesso e non concesso che il governo dei fenomeni sociali sia più possibile, da parte degli Stati nazionali o dalle loro incipienti aggregazioni continentali o intercontinentali.
Allora è forse giunto il momento di elaborare una nuova teoria generale del diritto senza lo Stato o senza la totalitari età dell’ordinamento giuridico statuale. Un diritto con canoni così generali da poter essere riconoscibili e, magari, riconosciuti ovunque. Un corpus juris globale per la costruzione del quale la cultura europea, con la sua appendice sudamericana, è più attrezzata di quella anglosassone, culturalmente parlando, nel senso della maggiore capacità di astrazione e di concettualizzazione.
Ovviamente questo non dovrebbe essere un tentativo solipsistico, per non dire esperantistico, di costruire un quadro normativo ideale, ma potrebbe essere un opus di una comunità scientifica che, ravvisando l’opportunità di una ricerca e di una proposta del genere, elaborasse uno schema di lavoro da condividere tra i ricercatori e, poi, da offrire ai decisori quando, sperabilmente presto, arriverà il tempo di definire uno spazio giuridico del lavoro europeo, che sia più libero ed efficace di quel mixtum di carte, convenzioni OIL, direttive e regolamenti UE, normative nazionali e disposizioni autonomiche.
Pertanto quello che si può fare, in questa sede, è un semplice inventario dei temi di base e di alcuni sviluppi possibili, tenendo ben conto di come le condizioni del mercato globale e le nuove tecnologie abbiano fatto evolvere il lavoro e i rapporti ad esso connessi per produrre beni e servizi, attraverso i più diversi schemi di collaborazione. Un inventario che si vuole suscettibile di integrazioni o sottrazioni, critiche e contributi di ogni sorta.
In via preliminare va chiarito che, nel seguito del discorso, per legge si intende qualsiasi norma di tipo pubblico avente forza vincolante in via generale, secondo il diritto costituzionale vigente; per ordine pubblico si intende qualsiasi principio di carattere generale avente una portata superiore a quella della semplice legge, in base a convenzioni internazionali e simili.
Le basi
Fermi restando gli indirizzi di fondo, che sono la sussidiarietà e la pluralità degli ordinamenti giuridici; seguendo le direttrici del libero mercato e della concorrenza tra i soggetti e le istituzioni; alla base di una nuova concettualizzazione giuridica del lavoro del XXI secolo si dovrebbero porre le parole simbolo della cultura giuridica e sociale dello Stato moderno: liberté, egalité, fraternité. Da cui si possono ricavare gli assiomi direttori: a. gli uomini sono eguali di fronte alla legge, salvo il supporto pubblico verso una parità di opportunità; b. gli uomini sono liberi di disporre dei loro diritti e di scambiarli con altri, salvo espressa proibizione legata all’ordine pubblico; c. la socialità è garantita e protetta, salvo il rispetto dell’eguaglianza e della libertà dei singoli. Questi assiomi hanno alcuni corollari.
1. La eguaglianza, pur nel rispetto di tutte le differenze, comporta che non vi siano posizioni di vantaggio legali, come la vetusta considerazione del lavoratore quale parte debole del rapporto di lavoro, e possono negoziare liberamente fra loro, sia a livello individuale che collettivo, su un piano di parità e senza asimmetrie e gerarchie tra i diversi livelli. In situazioni di conflitto sono ammesse le azioni dirette, ma soltanto nella forma di astensione dal prestare o dal ricevere la collaborazione per interi turni standard di lavoro, ma assicurando sempre la tutela degli impianti produttivi e il mantenimento, anche in forme ridotte, del servizio pubblico. La proprietà pubblica non altera la commercialità di una società che produce beni o servizi di mercato, anche se svolgesse la propria attività in una posizione monopolistica, legale o naturale.
1.1. La legge può, eventualmente, stabilire se e come compensare gli svantaggi di talune categorie di persone al fine di determinare una parità di condizioni o promuovere azioni positive, senza che da tali compensazioni o promozioni possano derivare alterazioni significative della eguaglianza.
1.2. I contratti di lavoro, rientrando a pieno titolo tra i normali rapporti commerciali, sono soggetti, come qualsiasi rapporto di mercato, alle regole che disciplinano e difendono la concorrenza, secondo l’ordine pubblico, senza disparità di sorta per lo scioglimento di tali rapporti, come per la loro costituzione, quale che sia il tipo contrattuale.
1.3. La legge può, nel rispetto della sussidiarietà, attivare o promuovere iniziative volte a sostenere, nel mercato del lavoro, i singoli o le categorie che abbiano bisogno di supporto economico, orientativo-formativo, psicologico, quando si vengano a trovare in una fase di avvio o di transizione. E ciò senza fare nessuna distinzione in relazione ai tipi contrattuali pregressi o agli antecedenti di non lavoro, ma senza escludere una compartecipazione prima, durante o dopo il godimento di tale supporto da parte degli interessati, salvo che altri se ne faccia carico, assicurativamente o per beneficienza o per investimento. Il tutto venendo posto, sempre e comunque, su un piano di libera scelta da parte degli interessati e di libera concorrenza tra gli operatori.
1.4. La legge può istituire o regolamentare le forme della previdenza a cui tutte le persone debbano aderire, ferma restando la libertà di elezione dei singoli o delle categorie, rivedibile in qualunque momento, e fermo restando che quanto del reddito individuale sia destinato a risparmio previdenziale, anche aggiuntivo rispetto alla base eventualmente indicata dalla legge, sia sempre e comunque totalmente esente da tassazione, salvo eventuali limiti massimi.
1.5. La legge può istituire o regolamentare le forme della assicurazione per malattia e infortuni a cui tutte le persone debbano aderire, ferma restando la libertà di elezione dei singoli o delle categorie, rivedibile in qualunque momento, e fermo restando che quanto del reddito individuale sia destinato a tali scopi, anche in una dimensione familiare, sia sempre e comunque esente da tassazione, salvo eventuali limiti massimi.
1.6. Quanto sopra è valido anche nel caso in cui uno dei soggetti del rapporto sia un ente pubblico non commerciale, salvo per le figure destinate funzionalmente a rappresentare l’ente stesso, a cui sarebbe comunque applicabile il punto 1.3. alla scadenza dell’incarico. Mentre un diverso discorso dovrebbe essere fatto per i corpi della sicurezza dello Stato (forze armate e di polizia), la magistratura, l’università, ma sempre pensando che tanto maggiore è la responsabilità dell’incarico quanto più approfondita dovrebbe essere la valutazione sullo svolgimento dello stesso, al fine del rinnovo o meno dell’incarico in questione.
2. Le persone sono libere di negoziare fra loro dando agli accordi raggiunti qualunque contenuto e realizzando qualsiasi assetto dei rapporti reciproci che sia basato sul consenso, in applicazione della formula secondo la quale “il contratto è legge fra le parti”, salvo i classici limiti di ordine pubblico dell’oggetto del contratto, ovvero che l’oggetto sia “definito o definibile, possibile, lecito”. Tenendo tuttavia presente che, come nel diritto commerciale internazionale, il contratto nullo produce effetti salvo che, a richiesta dell’interessato, si rinvengano in esso gli elementi per la annullabilità.
2.1. Salvo i limiti dell’ordine pubblico non vi sono diritti inderogabili o non transigibili, ex post o de futuro, anche eventualmente mediante forme di assistenza tecnico-legale fornite dalle formazioni sociali o da enti pubblici.
2.2. Salvo i limiti dell’ordine pubblico le persone, inserite nel mercato del lavoro, possono rinunciare, in tutto o in parte, alla giurisdizione pubblica, a vantaggio di forme alternative di risoluzione delle controversie gestite dalle formazioni sociali o da altri soggetti privati specialmente qualificati. La qual cosa dovrà valere anche per le collaborazioni afferenti alle formazioni sociali che, eventualmente, producano beni o servizi di mercato.
2.3. Salvo i limiti dell’ordine pubblico, le persone che prestino liberamente il loro consenso, eventualmente assistito come previsto al punto 2.1, all’inserimento in una comunità di lavoro sono libere di aderire alle regolamentazioni vigenti in ciascuna comunità, riconoscendo e accettando la disciplina delle stesse e le forme di autorità vigenti in queste, anche a prescindere dalle regole valide all’esterno di tali comunità, salvo per quanto riguarda le disposizioni sulla sicurezza e igiene del lavoro, per la cui scrupolosa applicazione è sempre dovuta la massima collaborazione tra tutti i soggetti interessati, facendo speciale riferimento alle norme tecniche di buona pratica e alla migliore esperienza, ma sempre in una ottica di responsabilità condivisa tra tutti gli interessati.
2.4. Quanto sopra è valido, con gli opportuni temperamenti, anche nel caso in cui uno dei soggetti del rapporto sia un ente pubblico, salvo per le figure destinate funzionalmente a rappresentare l’ente stesso, a cui sarebbe comunque applicabile il punto 1.3. alla scadenza dell’incarico. Mentre un diverso discorso dovrebbe essere fatto per i corpi della sicurezza dello Stato (forze armate e di polizia), la magistratura, l’università, ma sempre pensando che tanto maggiore è la responsabilità dell’incarico quanto più approfondita dovrebbe essere la valutazione sullo svolgimento dello stesso, al fine del rinnovo o meno dell’incarico in questione.
3. Le persone, nel rispetto dell’ordine pubblico, sono libere di riunirsi in formazioni sociali a cui affidare, nell’ottica della sussidiarietà, funzioni di loro interesse, tra cui la loro rappresentanza e assistenza a vari effetti, ma che potrebbero anche svolgere attività di produzione di beni o di servizi di mercato.
3.1. Un particolare discorso può essere fatto per la formazione sociale di base che è la famiglia, per la quale possono valere le regole generali delle formazioni sociali e dei contratti, compresi quelli di lavoro, con gli ovvi limiti delle comunità basate su vincoli di affettività e con quanto ne può derivare rispetto alla genitorialità e alla necessaria tutela della prole, fermi restando i limiti dell’ordine pubblico. La legge può stabilire particolari vantaggi per la famiglia in quanto tale nonché, senza alterare significativamente la concorrenza, per l’impresa familiare o per la famiglia contadina o per altre formazioni sociali basate sulla stabilità affettiva.
3.2. Le formazioni sociali, come le persone, sono eguali fra loro, ma la legge può, sempre nell’ottica di promozione della parità delle opportunità, stabilire talune condizioni di vantaggio per le formazioni aventi finalità giudicate di speciale merito. Tuttavia non sarebbe ammissibile che sussistessero formazioni sociali di diritto pubblico a cui si debba aderire necessariamente per poter esercitare una arte o professione. Senza peraltro escludere che, a garanzia della fede pubblica e della sicurezza del mercato, la legge promuova talune formazioni sociali di diritto privato che, per libera scelta degli operatori in sintonia con l’ordine pubblico, possano servire a stabilire le buone prassi e vigilare sul corretto esercizio dell’arte o della professione e alla deontologia.
3.3. Nell’ambito delle formazioni sociali deve valere il principio democratico, ferma sempre restando la libertà del singolo di non conformarsi a quanto stabilito, uscendo dalla formazione sociale a cui aveva precedentemente aderito, per aderire ad una altra, ove questo sia necessario. Ma, anche a garanzia della libera concorrenza, dovrebbe essere fissato che, nei confronti di qualunque formazione sociale, o non è ammessa la delegazione di pagamento delle eventuali quote di adesione da parte dei partecipanti o, in via subordinata, essa non è essere che temporanea, da rinnovare periodicamente; così come, diversamente da quanto può avvenire nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, all’interno delle formazioni sociali non va ammesso il silenzio-assenso.
3.4. Le formazioni sociali che operano commercialmente, anche non avendo scopo di lucro, non possono essere trattate in maniera diversa da tutti gli altri soggetti commerciali, salvo i casi nucleari di cui al punto 3.1.; il che è valido anche per le strutture cooperativistiche perché, per quanto meritorio sia il loro spirito originario, non è più possibile continuare ad alterare la concorrenza in maniera tanto intensa; così pure per il cosiddetto terzo settore.
3.5. Viceversa la legge può favorire, in vari modi, ma sempre senza alterare la concorrenza, la apertura delle società commerciali alla socialità attraverso la partecipazione dei collaboratori, che lo vogliano, al capitale sociale o al patrimonio dell’impresa, con diritti rafforzati rispetto a quelli dei normali soci della società o condomini dell’azienda e con specifiche norme sulla partecipazione alla gestione stessa della società o dell’impresa.