La moderna organizzazione del lavoro considera ottimale, sia per la struttura di produzione che per l’equilibrio del singolo, quella condizione comunemente indicata come engagement. Del resto, secondo Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma e Bakker (Schaufeli WB, Salanova M, Gonzalez-Roma. V, & Bakker AB., The measurement of engagement and burnout: A confirmative analytic approach. J Happiness Stud 2002; 3: 71-92), l’engagement lavorativo è definibile come una “condizione psicologica associata al lavoro, positiva e soddisfacente, caratterizzata da vigore, dedizione e coinvolgimento”.
“Più che uno stato transitorio e specifico, l’engagement si riferisce a uno stato cognitivo – emotivo persistente e pervasivo, non focalizzato su uno specifico oggetto, evento, individuo o comportamento. Il vigore risulta caratterizzato da elevati livelli di energia e resistenza mentale allo stress durante il lavoro, dall’essere disponibili a investire energie nel proprio lavoro, e dalla persistenza anche di fronte alle difficoltà. La dedizione si riferisce alla sensazione di dedicarsi con passione al proprio lavoro e, conseguentemente, dall’esperire un senso di significato, entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida.
Il coinvolgimento riguarda l’essere pienamente concentrati e felicemente assorbiti nel proprio lavoro, attraverso il quale il tempo passa velocemente e si ha difficoltà a distaccarsene (Schaufeli WB, Bakker AB., Job demands, job resources and their relationship with burnout and engagement: A multi-sample study. Journal of Organizational Behavior 2004; 25: 293-315). Tale concezione a tre dimensioni dell’engagement è molto simile a quella introdotta da May, Gilson & Harter (May DR, Gilson RL, Harter LM., The psychological conditions of meaningfulness, safety and availability and the engagement of the human spirit at work. Journal of Occupational and Organizational Psychology 2004; 77: 11-37) secondo la quale l’engagement è costituito da una dimensione fisica (es. “Ci metto energia nel fare il mio lavoro”), da una dimensione emotiva (es. “Veramente lavoro con il cuore”) e da una dimensione cognitiva (es. “Quando lavoro sono cosi coinvolto che mi dimentico di tutto il resto”). Le tre componenti corrispondono rispettivamente alle tre dimensioni di Schaufeli & Bakker vigore, dedizione e coinvolgimento.
In alcune interviste strutturate con un gruppo eterogeneo di lavoratori olandesi è stato evidenziato che i lavoratori “engaged” sono particolarmente attivi e tendono a trasmettere feed-back positivi (Schaufeli WB, Taris T, Le Blanc P, Peeters M, Bakker A, & De Jonge J., Maakt arbeid gezond? Op zoek naar de bevlogen werknemer [Does work make happy. In search of the engaged worker]. De Psycholoog 2001; 36: 422-428); i loro valori, inoltre, sono coincidenti con quelli dell’organizzazione. Questi lavoratori sembrano svolgere con piacere anche attività esterne al posto di lavoro. Sebbene anche i lavoratori “engaged” a volte si sentano stanchi, a differenza dei dipendenti “burned-out”, che sperimentano la stanchezza come esclusivamente negativa, hanno descritto la loro stanchezza come uno stato “facilmente recuperabile (resilience)” perché associato con stati positivi derivanti dal proprio lavoro. Alcuni lavoratori “engaged” hanno indicato che sono stati precedentemente in burnout, il che indica una certa capacità di recupero (resilience) come pure l’utilizzo di efficaci strategie di coping.
Per concludere, i dipendenti impegnati non sono stacanovisti (o “workaholici”) perché provano piacere non esclusivamente dal proprio lavoro ma anche da attività al di fuori del contesto lavorativo, inoltre a differenza degli stacanovisti non lavorano come spinti da una pulsione forte ed irresistibile, ma perché considerano il lavoro un’attività piacevole e gratificante.”1.
Pertanto, quale che sia il suo contratto di lavoro, un lavoratore engaged non avrà bisogno di fare attenzione ad un orario di lavoro, anzi avrà piacere di non doversi preoccupare di limitarlo o ampliarlo, tanto quanto occorra per svolgere il suo compito o, per lo meno, per sviluppare quella porzione di compito compatibile con il momento dato.
In altri termini lavoro e orario sono concetti che, escludendo lo scomparso lavoratore meccanico di tempi moderni, ovvero il lavoratore similmacchina o servente alla macchina, milite ignoto dell’esercito del lavoro bisognoso di ordini per poter lavorare, devono essere disaccoppiati, nel senso che, ormai, anche il residuo lavoro meccanico finisce per sconfinare dall’orario assegnato.
E questo lavoro è sconfinato proprio perché, nella soddisfazione o anche nella insoddisfazione, la persona si ritrova in esso, sviluppando in esso e con esso, tanto in azione quanto in pensiero, la sua personalità. Cosicché oggi si può pensare che l’alienazione del lavoratore non derivi più dal lavoro, ma dal non lavoro.
Chiaramente questa non è una lettura assoluta, infatti c’è anche il lavoro che fa male o addirittura uccide, per quanto spesso ciò dipenda da altri lavoratori, ma è una lettura che si può considerare prevalentemente corretta. Basta considerare quali siano gli argomenti ricorrenti delle conversazioni dentro e fuori gli ambienti di lavoro.
Allora si può ben dire che l’orario di lavoro, nella sua dimensione tecnico-legale, consacrata da una lunga evoluzione storica e giuridica, è veramente un ferro vecchio, inutile anzi dannoso, perché pretende di porre limiti al libero dispiegamento della personalità dei lavoratori in quella che è una loro dimensione (la più importante?) di vita, come il lavoro.
È una delle tante pretese del diritto del lavoro che, in una dimensione astratta e sempre più avulsa dalla vita delle persone, crede ancora di doverle proteggere come soggetti deboli, influenzabili, ricattabili da un sistema economico sempre teso alla massimizzazione del profitto e non vuol capire che, se prima era importante conquistare un orario del lavoro stupido, ora è necessario liberarsene.
Sia perché il lavoro è divenuto più intelligente sia, soprattutto, perché da un lato le macchine in qualche modo intelligenti esporranno tutti i lavoratori ad un difficile confronto mentre, da altro lato, soltanto l’intelligenza associativa dell’uomo potrà risolvere i problemi più difficili che si presenteranno; e questo non avverrà necessariamente dentro un orario di lavoro, quale che sia, tutt’altro.
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1) R. Pisanti, A. Paplomatas, M. Bertini, Misurare le dimensioni positive nel lavoro in sanità: un contributo all’adattamento italiano della UWES – Utrecht Work Engagement Scale, in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia Supplemento A, Psicologia, 2008; Vol. 30, N. 1: A111-A119, pp.111-2