Il lavoro è partecipazione

Puntare sulla flessibilità del lavoro e sulla partecipazione ai risultati per migliorare i rendimenti e aumentare le retribuzioni, senza lasciarsi ossessionare dal costo del lavoro

  1. La polemica continua sul costo del lavoro ha portato giuristi ed economisti del lavoro concentrarsi sul tema della flessibilità, in entrata e in uscita, ma anche dentro la struttura produttiva, per cercare di risolvere il problema dello sviluppo economico e della crescita della occupazione, senza considerare che sviluppo e crescita, oltre che dalle diseconomie esterne al luogo della produzione di beni e servizi, sono legati alla produttività dei fattori.

Premesso che tutte le esternalità negative e il cuneo fiscale-contributivo, come si suole chiamarlo, sono pesanti palle al piede delle aziende e dei lavoratori, proviamo a fare una riflessione sul prezzo del lavoro, ovvero su salari e stipendi, e sul rapporto tra questi e il prodotto, ovvero sulla produttività.

Vogliamo fare questa riflessione perché, pur con tutti i condizionamenti derivanti da leggi, contratti e usi, il prezzo del lavoro è relativamente controllabile dalle parti in causa, datore di lavoro e lavoratore, e perché il prodotto è anch’esso generalmente controllabile, in una dimensione di normalità tecnica e organizzativa.

Inoltre il senso di una tale riflessione si ritrova nel semplice ragionamento per cui se i corridori, ovvero aziende e lavoratori, pur appesantiti dalle palle di cui sopra riuscissero a fare dei buoni tempi, potremmo renderci meglio conto di quanto potrebbero essere migliorati questi tempi, riducendo o azzerando il peso delle suddette palle al piede.

D’altronde una delle chiavi, se non la principale chiave dello sviluppo capitalistico, si deve, tra l’altro, alla ispirazione di Henry Ford che, con disappunto dei suoi colleghi e competitor, credette giusto aumentare le paghe dei lavoratori anche perché fossero in grado di acquistare ciò che producevano.

  1. Organizzazione del lavoro. Oramai sappiamo bene che il modello del comando e controllo, altrimenti detto fordista-taylorista, legato alla meccanizzazione della produzione industriale e protrattosi fino a pochi decenni fa, se non fino ad oggi, non si attaglia più né alla produzione industriale di beni, né alla produzione di servizi, né tanto meno alla produzione intelligente.

Ma perché questa produzione intelligente, nella quale si “sfruttano” oltre le braccia anche i cervelli dei lavoratori, deve essere anche povera? Perché si deve considerare soltanto il valore competitivo del prezzo? Perché, invece, non si vuole puntare realmente sulla qualità del servizio, a cui ogni prodotto può riconnettersi?

Si dice che tutto ciò è frutto della globalizzazione, con annessa finanziarizzazione, dell’economia mondiale; si dice che non si può competere, salvo la continua evoluzione tecnologica, con le popolazioni affamate di benessere; si dice, giustamente, che non è il prezzo del lavoro, obbiettivamente basso, ma il costo del lavoro, eccessivamente alto, che conta.

Quello che si dice è vero, tuttavia, nell’ottica di cui sopra, proviamo a pensare se, aumentando notevolmente il prezzo del lavoro, ovvero paghe e stipendi, noi non potremmo avere quell’aumento della produttività che, pure, tutti dicono serva a rilanciare lo sviluppo economico e la crescita della stessa occupazione dei paesi sviluppati, come il nostro.

Ovviamente bisognerebbe fare esattamente il contrario di quello che, secondo alcuni ricercatori, è avvenuto negli ultimi anni, quando i salari sono cresciuti di più nei settori dove la produttività del lavoro è cresciuta di meno, perché erano settori protetti dalla concorrenza o dalla politica.

Bisognerebbe anzi decidersi a far crescere i salari in funzione, o anche soltanto in prospettiva, di una crescita della produttività, o attivando le opportune concertazioni, à la Marchionne, o con una offerta unilaterale, come già avviene nelle aziende piccole o semplicemente desindacalizzate, anche con poco eleganti espedienti.

  1. Compensation. C’è un vecchio proverbio che dice: “chi più spende, meno spende”, alludendo alla valenza della spesa nel tempo, ovvero alla durabilità del prodotto acquistato; potremmo provare ad applicare una politica simile anche nell’acquisto di lavoro e, fin qui, ci siamo riferiti al prezzo economico, senza contare che ci sono prezzi non economici che possono essere spesi facilmente.

Ci si vuol riferire al fatto che, oltre i corrispettivi economici, ci sono altri elementi non economici che fanno apprezzare il lavoro, specialmente quando il lavoro, come ormai è di norma, non è semplicemente un lavoro che si fa pensando ad altro, ma è un lavoro che coinvolge, o meglio, nel quale si è coinvolti.

Non ci sono più i dipendenti di una volta, si potrebbe dire, in verità si dovrebbe dire: non devono più essere dipendenti come una volta; i lavoratori, anche inseriti in una organizzazione complessa, dovrebbero essere tutti, indipendentemente connessi, partecipi di uno scopo comune, dal raggiungimento del quale dipenda la migliore soddisfazione di tutti.

Nuovo welfare aziendale e partecipazione dei collaboratori, anche al capitale, può essere la chiave per aprire la porta ad una nuova fase di crescita.

luglio 2014