Pangloss

Contrappunti

Tutti i dati, da qualunque fonte provenienti, ci confermano che viviamo nel migliore dei mondi possibili, che poi è l’unico che conosciamo, e viviamo anche nel migliore dei tempi possibili, che poi è l’unico che ci è dato, in maggiore o minore quantità, di vivere; eppure ci sentiamo sempre, chi più chi meno, afflitti da troppi problemi, reali o immaginari, fisici o morali, privati o collettivi.

E, anche se ci sono maggiori possibilità per risolvere o mitigare tutti o quasi tutti questi problemi che ci assillano, siamo sempre più confusi, incerti, impauriti: tutte le nostre conoscenze, impensabili soltanto pochi anni fa, sembrano spesso inutili o insufficienti, anzi, dannose.

Infatti, spesso, quello che sappiamo ci serve soltanto a capire meglio i rischi che corriamo, non ad eliminarli; quale malessere ci pervade, non come curarlo; il tipo di morte che ci aspetta, prima o poi, non ad evitarla; e questa conoscenza, che pure, quando l’abbiamo acquisita, ci ha inorgoglito, poi ci rattrista, quando ci sentiamo come fuscelli leggeri trascinati in un gorgo, nero.

Quando sorgerà di fronte a noi lo spettro della vanità e ci stringerà il cuore, che faremo? quando ci assalirà il dubbio della inutilità di tutti i nostri sforzi, che faremo? quando la speranza vacillerà, che faremo?

Faremo come il pallido principe e ci chiederemo se resistere ancora agli strali dell’avversa fortuna e combattere e combattendo semmai soccombere, o ci arrenderemo, ponendo fine ai nostri giorni, restando con il dubbio di lui?

O ci affideremo, confidenti, ad una superiore volontà che muove il sole e l’altre stelle?

Faremo quello che ci tornerà meglio. A quel punto non avrà più importanza quello che faremo: il nostro tempo sarà finito o starà per finire.

Quello che conta, a prescindere da ogni visione escatologica, è quello che facciamo prima.

Cerchiamo di fare una vita serena; una vita nella quale cerchiamo di risolvere i vari problemi che ci si pongono uno alla volta e nella quale, comunque, non ci disperiamo per nulla, perché nulla c’è di più importante della vita che viviamo, sia essa misera o splendente; nulla c’è, in qualunque vita, di irrimediabile, per quanto grave sia l’accaduto; nulla e nessuno possono portarci a considerare superflua la nostra vita, per quanto scadente essa sia.

Anche senza nessun riferimento alla divinità, consideriamo comunque divino tutto quello che possiamo dare agli altri o fare per gli altri, come pure tutto quello che gli altri possono dare a noi o fare per noi; per quanto sia difficile, talvolta più difficile, ricevere amabilmente, piuttosto che dare, laddove il dare implica sempre un mettersi, in certo qual modo, al di sopra dell’altro.

L’intelligenza e, soprattutto, la conoscenza sono senz’altro, come del resto sono sempre state, un ostacolo alla serenità, ma bisogna sforzarsi sempre, con umiltà, di considerare le proprie conoscenze come un nonnulla di fronte all’insieme delle conoscenze umane e la propria intelligenza come un dono che, per quanto al prezzo di qualche amarezza, rende più piena la nostra vita, ma non può rendercela invivibile.

Così, se riusciremo a far prevalere i valori della vita sui valori della persona, forse, riusciremo ad essere sereni.

Allora varrà la pena vivere; allora si potrà pensare, quando il momento sarà venuto, che vivere, tutto sommato, è stato bello e, soprattutto, non è stato inutile.

Antonio M. Orazi