Convergenze parallele

Le convergenze parallele furono una formula politica morotea con la quale, attraverso quello che poteva essere comunemente considerato un ossimoro, si alludeva alla possibilità che forze politiche diverse, per quanto avessero posizioni parallele nello spazio del mondo delle idee, potessero trovare un punto di incontro, alla fine o, in un certo momento, un punto di intersezione.

E fu un modo più moderno di esprimere l’idea della coincidentia oppositorum di Nicola Cusano, riferita ai concetti-limite1 e alla proiezione verso l’infinito, dove non trovano spazio né il principio di identità né quello di non contraddizione, di aristotelica memoria. Ovviamente Nicola Cusano, ecclesiastico, pensa al finito come umano e all’infinito come divino. Così l’infinito matematico diventa il modello dell’infinito divino, e mostra una logica dell’infinito opposta e incomprensibile ad una logica del finito, che non accetta (nella realtà finita) la coincidenza degli opposti.

Ma si trattativa di un ossimoro solo apparente, sia dal punto di vista filosofico, non considerando quella idea della circolarità dello spirito della dialettica degli opposti hegeliana o della spiralità della storia e dei concetti della dialettica dei distinti crociana, sia dal punto di vista matematico e geometrico, non considerando le teorizzazioni non euclidee.

Infatti la geometria euclidea, lungi dall’essere la verità eterna e assoluta che per duemila anni gli uomini hanno creduto fosse, è soltanto la geometria del piano, estremamente ristretta e astratta, una mera approssimazione della reale geometria dell’universo, alla spiegazione del quale meglio si attaglia la geometria della sfera o ottusa, nella teorizzazione finale di Gauss.

Non a caso Einstein, quando elaborò la teoria generale della relatività, trovò che per spiegare il meccanismo della gravitazione universale si doveva supporre un universo in cui la luce viaggiasse su geodetiche non euclidee. Pertanto, nella teorizzazione relativistica, l’universo è non euclideo e dimostra la maggiore efficacia della geometria ottusa, nella quale la somma degli angoli è maggiore di 180 gradi.

Perciò possiamo dire che, se le convergenze parallele sono un ossimoro nella dimensione della geometria euclidea del piano, non lo sono affatto in quella non euclidea della sfera. E, soprattutto, non sono un ossimoro nella sfera delle idee, specialmente se pensiamo che siano le idee non soltanto a spiegarlo ma a creare il nostro mondo.

1) N. Cusano, De docta ignorantia, I, cap. IV “Il massimo, del quale nulla può essere piú grande, essendo in modo semplice ed assoluto piú grande di quel che da noi si possa capire, poiché è verità infinita, noi non lo cogliamo altrimenti che in modo incomprensibile. Non essendo infatti esso della natura di quelle cose che ammettono un termine che supera ed uno che sia superato, esso è al di sopra di tutto ciò che da noi può essere concepito […].

È evidente che il minimo coincide con il massimo. E ciò ti sarà piú chiaro se ricondurrai il massimo ed il minimo nell’ambito della quantità. La massima quantità è infatti massimamente grande; la quantità minima è massimamente piccola. Libera dunque dalla quantità massimo e minimo, sottraendo intellettualmente l’esser grande e l’esser piccolo, e chiaramente vedrai che massimo e minimo coincidono. Cosí infatti è un superlativo il massimo come lo è il minimo. L’assoluta quantità pertanto non è piú massima che minima, poiché in essa coincidono massimo e minimo. Le opposizioni dunque convengono a quelle cose che ammettono termini che superano e termini superati, ed a queste cose convengono diverse opposizioni, ma in nessun modo ne convengono al massimo assoluto, poiché esso è al di sopra di ogni opposizione. Poiché quindi il massimo è assolutamente in atto tutte le cose che possono essere, e ciò al di fuori di qualunque opposizione, in modo che nel massimo cada identicamente il minimo, cosí esso è anche al di sopra di ogni affermazione come di ogni negazione. E tutto ciò che si concepisce come essere non è piú essere che non essere e non è piú non essere che essere. Ma esso è questa cosa in modo da essere tutte le cose, e cosí è tutte le cose da non esserne nessuna, e cosí massimamente ogni cosa determinata, che minimamente sia questa stessa cosa. Non è infatti diverso dire: “Dio che è la stessa massimità assoluta, è luce”, che dire: “Dio è massimamente luce, essendo minimamente luce”. […]

Ma ciò trascende ogni possibilità del nostro intelletto che non sa mettere insieme nel proprio principio i contraddittori in modo razionale, poiché noi ci muoviamo attraverso quelle realtà che ci vengono mostrate dalla stessa natura, e questa, cadendo lontano da quella infinita incapacità, non sa congiungere insieme gli stessi contraddittori, come quelli che sono separati da una distanza infinita. Al di sopra di ogni discorso razionale pertanto noi vediamo incomprensibilmente che la massimità assoluta è infinita, e che ad essa non si oppone nulla, e che con essa coincide il minimo.”