Ogni momento della nostra vita c’è una speranza che muore e, come i neuroni del nostro cervello, non rinasce più.
Senza nuove cure, di cui si favoleggia a proposito dei neuroni del cervello, nascono ogni momento, ogni volta che qualcosa ci stimola, altre speranze, speranze nuove che, a volte, ci portiamo dentro per qualche tempo, a volte, muoiono subito.
È la natura umana, una natura che vede, che vuol vedere sempre oltre, che vorrebbe portarci sempre oltre, che pensa di sé più di quanto non sia, che ci induce a continuare, per tutto il tempo che ci è dato, ad illuderci.
Ci illudiamo di sapere, qualcosa, mentre non sappiamo quello che non sappiamo; ci illudiamo di conoscere qualcuno, mentre ci auguriamo di non essere traditi da coloro in cui confidiamo; ci illudiamo di scegliere, credendo di fare ragionamenti logici.
Crediamo sempre di credere e ne siamo convinti; speriamo sempre di sperare perché, altrimenti, a che cosa servirebbe continuare a vivere?
Viviamo ogni giorno come se non fosse l’ultimo, proprio perché speriamo che il giorno dopo sia migliore del giorno prima e, se non il giorno dopo, almeno quello dopo ancora, o la settimana dopo, o il mese dopo, o l’anno dopo.
Così consumiamo il nostro tempo come giocatori che, pur continuando a perdere, pur sapendo che perderanno sempre, per la natura delle cose che non prevede alternative, non riescono a smettere di scommettere su un domani più sereno, più lieto, un domani magari felice.
Eppure, se ieri non c’è più e domani non c’è ancora, in realtà c’è soltanto oggi e noi dobbiamo trovare la nostra serenità, la nostra letizia, magari la nostra felicità oggi, senza curarci del domani, senza confidare nel bene di domani, come se l’oggi fosse l’ultimo.
Trovare il bello e il buono in ogni singola piccola cosa, in ogni singolo atto o fatto, in ogni parola del mondo; tutto il nostro piccolo mondo moderno; in tutta la nostra piccola vicenda umana che tanto ci occupa e ci consuma, ma che è nulla di fronte all’infinito.
Il mistero che non ci appartiene, il mistero che non possiamo, non dobbiamo sperare di fare nostro, in nessun modo.
Facciamoci forza della nostra debolezza e speriamo che le nostre deboli forze siano servite a qualcosa, qualunque cosa, nel quadro generale perché, se nulla è per sempre, nulla può essere per niente.
Allora dismettiamo il lutto: il lutto non si addice alla vita, il lutto si addice alla morte degli altri, i morti alla vita e i morti della vita.
Il lutto si addice a coloro che non sanno dare.