Homo ludens

“Secondo un’idea ormai secolare, spingendo il pensiero fino alle ultime conseguenze del processo conoscitivo umano, si deve giungere a riconoscere che ogni azione umana appare un mero gioco”.

“Tale conclusione metafisica” è sufficiente, come scrive Huizinga nella prefazione-introduzione al suo celebre libro, per esonerare chi se ne contenti dal leggere il libro stesso.

Ed, effettivamente, non solo si può leggere ogni situazione della vita umana in una dimensione di gioco, ma è sostenibile che molte situazioni possono essere spiegate, o spiegate meglio, soltanto se ci si pone in tale ottica.

Intendendo che il gioco non sia, come per verità non è, una configurazione giocosa ma, bensì, una configurazione terribilmente seria dell’azione umana.

Tanto che si può, superando la ovvia considerazione della mimesi: il gioco imita la vita, istituire una relazione biunivoca tra gioco e vita secondo la quale la vita è il gioco o, indifferentemente, il gioco è la vita; ma si può anche procedere oltre, ipotizzando che la vita vera sia un gioco, mentre il gioco è tutto ciò ma anche qualche cosa d’altro: il gioco è, nello stesso tempo, la vita che viviamo e la vita che vorremmo vivere.

Jhering sostiene nel suo noto scritto (Serio e faceto nella giurisprudenza) che la distinzione tra ricerca scientifica e scienze umane consiste nella verificabilità delle ipotesi interpretative e solutive connessa con la ripetibilità, ammissibile nei fenomeni scientifici e non in quelli umani.

Jhering ironizza giustamente sull’impossibile laboratorio dei concetti non potendo tener conto delle moderne teorie del gioco e delle recenti logiche del caso.

Eppure il gioco è sempre più decisamente il segno del nostro tempo.

Non che esso fosse assente in altre epoche; ma non era ben chiara la collocazione del gioco nell’ambito delle attività umane, ovviamente di là dalla età giovanile.

Invece, oggi, il gioco rappresenta in tutti i sensi la parte prevalente delle nostre attività, non solamente nella diade tempo libero/tempo di lavoro, ma anche nell’ambito stesso del lavoro, che sempre più spesso e sempre più diffusamente non è che un grande gioco.

Sono sempre di più coloro che giocano in borsa; giocano con gli elaboratori elettronici; sono quindi sempre più numerosi quanti su questi giochi fondano le loro fortune e la loro esistenza.

La simulazione è divenuta così una forma sempre più diffusa di addestramento (giochi di guerra e giochi di ruolo), di sperimentazione (in alternativa alle cavie), di studio (modelli econometrici e matematici in genere).

Se adesso sappiamo che il gioco, per il bambino, è una cosa terribilmente seria; dovremmo convincerci che o non cresciamo mai e quindi restiamo legati sempre al piccolo gioco, o cresciamo anche ma il gioco cresce con noi e diventa un grande gioco.

Alla fine, se tutto è un gioco dobbiamo sempre cercare di essere seri, così come si conviene ad ogni bel gioco, ma senza mai prenderci troppo sul serio.

P.S. Anche questo era soltanto un gioco … di parole

marzo1999