Prima si diceva che gli italiani andavano in pensione troppo presto, mentre l’età media continuava a crescere e si registrava lo scarso numero degli italiani anziani al lavoro. Perciò bisognava elevare l’età pensionistica e non ammettere più un pensionamento scollegato dall’età anagrafica e riferito all’anzianità contributiva, da cui derivavano le pensioni di anzianità.
Ora, in parallelo con il lavoro flessibile, si prospetta la flessibilità nel pensionamento e si torna a parlare della possibilità di anticipare il pensionamento. La qual cosa, da un punto di vista generale, che si consideri la pensione una retribuzione differita o meno, come sarebbe più corretto, si può considerare positiva per il semplice fatto che amplia lo spazio della libertà.
Ma, dopo tutto l’annoso dibattito sul peso della spesa pensionistica, anche in relazione alla scarsa incidenza della spesa per le politiche attive del lavoro; dopo tutte le discussioni sulle tipologie pensionistiche e sulle dinamiche di questa spesa, culminate nel dibattito sulle rivalutazioni conseguente alla nota sentenza della Corte Costituzionale, come si fa a proporre questa flessibilità?
Forse questa proposta potrebbe essere spiegata con le ragioni politico-elettorali del momento, anche a compensazione della parziale acquiescenza del Governo alla suddetta sentenza e alla lotta continua con il sindacato, tra una riforma e l’altra, piuttosto che ad un soprassalto di ragionevolezza; e bisognerà vedere come questo ennesimo annuncio si tradurrà in norma.
Sperando sempre che non si traduca nell’ennesima distorsione delle regole a favore di una o di altra categoria di cittadini e che non determini una nuova, inammissibile redistribuzione di risorse tra tutti i soggetti alla previdenza dello Stato, che venga ad aggiungersi a quella della fiscalità progressiva, che dovrebbe essere l’unica, e della socialità regressiva.
Comunque sia questa nuova flessibilità del pensionamento, tutta da verificare, per essere equilibrata contabilmente ed equa socialmente non potrebbe che essere parametrata all’aspettativa di vita, ovvero la pensione concessa anticipatamente dovrebbe essere decurtata di tanto quanto sarebbe necessario ad equipararla, globalmente, alla pensione concessa alle normali scadenze.
Così, ad esempio, se l’età normale per la decorrenza dell’assegno pensionistico fosse fissata a 65 anni e la vita media fosse di 85 anni, con una conseguente durata del pensionamento di 20 anni, se si desse la possibilità di avere l’assegno a 60 anni, con una durata del pensionamento di 25 anni, l’assegno dovrebbe essere ridotto almeno del 20%.