La burocrazia evitabile

Che la politica sia inerme senza burocrazia, come ha scritto De Rita sul Corriere del 10 marzo 2015, è certamente una verità ma, nello stesso tempo, non è tutta la verità. Perché la legge non può, senz’altro, disciplinare tutta la serie dei dettagli che, di solito, sono affidati ai decreti applicativi a cui, consuetamente, devono seguire circolari illustrative, per il semplice fatto che il burocrate non sa, o non deve, leggere la gazzetta ufficiale e capirla e applicare le disposizioni di legge da sé.

E, finché resteremo legati, come ancora purtroppo siamo, ad un modello di centralismo ministeriale, a volte replicato nel neocentralismo regionale, per certi versi opportuno, al fine di scongiurare tutte le variabili che la fertile immaginazione del burocrate di periferia può inserire nell’applicazione/non applicazione/travisamento/strumentalizzazione della normativa, il diritto eventualmente stabilito dalla legge resterà non praticabile dall’interessato, ogni qual volta manchi il decreto attuativo e, poi eventualmente, la circolare illustrativa.

Ma ci si può organizzare diversamente. E come ci si può organizzare? Ovvero come può essere bypassata la burocrazia dalla politica, che possiamo definire decisionista, ma che possiamo non definire tale, perché se la politica non decide che ci sta a fare? In realtà è molto più semplice di quanto possa sembrare, a prima vista.

Ovviamente, come diceva Einstein, dobbiamo guardare il problema con occhi nuovi.

Nel nostro caso potrebbe bastare che la legge fosse scritta in termini chiari e semplici, come sempre dovrebbe essere, e definisse in termini non equivoci chi ha diritto a che cosa, a fronte di quali condizioni soggettive/situazioni oggettive, chi deve eventualmente provvedere alla somministrazione o autorizzazione, entro quanto tempo deve essere soddisfatta la richiesta.

Sembra banale ma è rivoluzionario. Perché, se si stabilisce che, in date condizioni, sorga nei soggetti aventi determinate caratteristiche un diritto soggettivo e che questo diritto sorto debba essere soddisfatto, o meno, entro un dato tempo, non è più il burocrate a dire al cittadino che cosa deve fare, ma è il cittadino che può pretendere che il burocrate faccia quello che deve essere fatto.

Ovviamente va definito, a parte, o va meglio definito, che il burocrate di turno è responsabile di ciò che fa o non fa e, a scanso di equivoci, va chiarito che, laddove non sia individuato il burocrate di turno, responsabile sia il capo dell’ufficio. Andrebbe anche, per chiudere il cerchio, definito un procedimento di giustizia, sommario e preferenziale, per rispondere alle pretese dei cittadini.

Poi si può esercitare tutta la perfidia che si vuole per inquadrare questa responsabilità burocratica in termini disciplinari, amministrativi, civili o, persino, penali ma sarebbe sempre determinante che un responsabile ci fosse e che rispondesse di quello che fa o non fa. De Rita richiama la formula gollista dell’intendenza che seguirà.

Ma dimentica che De Gaulle era un generale e che, presumibilmente, avesse in mente che, ove l’intendenza non seguisse, avrebbe potuto subire quei rigori che sono tipici delle armate in guerra. Ora qui non si tratta di fucilare i burocrati come si è fatto, durante le guerre, con i disertori, però bisogna trovare il modo di schiodare la burocrazia dalla ignavia. Per non dire di peggio.

Bisogna rimettere al centro della scena il cittadino di uno Stato di diritto che non sia mai trattato come un suddito! E non un suddito di un sovrano per diritto divino ma di un qualunque vincitore di un concorso al quale sia stata affidata una funzione, grande o piccola, che deve esercitare in modo da assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art.97 Cost.).