Analfabetismo sindacale di ritorno

A chiunque si permetta di accusare altri, sia di maggio che di settembre, di analfabetismo costituzionale, non si può fare a meno di rammentare che “la sovranità appartiene al popolo” (art.1,2 cost.); che un rappresentante del popolo – quale che sia la sua caratura intellettuale – può “manifestare liberamente il proprio pensiero” (art.21,1 cost.); che il Parlamento non soltanto potrebbe “imporre” al sindacato l’ “obbligo” di registrarsi (art.39,2 cost.), ma avrebbe dovuto farlo da tempo, così come da tempo avrebbe dovuto regolare l’esercizio del diritto di sciopero (art.40 cost.), non soltanto nell’ambito dei servizi pubblici essenziali.
Il fatto è che chiunque sia stato oggetto di favori dalle forze politiche rappresentate nel Parlamento italiano dal dopoguerra ad oggi, nella sua qualità di cinghia di trasmissione verso le opposizioni, in un primo tempo e, poi, come serbatoio di voti per tutti i movimenti politici tradizionali, non può accettare che qualcuno, chiunque sia, dica semplicemente che il sindacato della prima repubblica; il sindacato dei patronati e dei CAF; il sindacato che amministra l’INPS; il sindacato della pubblica amministrazione; il sindacato delle grandi aziende pubbliche; il sindacato che, come una istituzione quasi pubblica, esercita un potere immenso, godendo di una non mai, ancora, misurata rappresentatività, senza alcun mandato, di là dal suo vago “ordinamento interno a base democratica”; il sindacato che contesta i pubblici poteri regolarmente eletti ogni qual volta siano minacciate anche alla lontana le proprie satrapie o gli ambiti sociali di riferimento prevalente (pensionati); insomma questo sindacato che abbiamo noi, nel 21°secolo non può più andare.
Molti Pontefici, qualche tempo dopo, hanno benedetto la breccia di Porta Pia e la sottrazione di un potere temporale che impacciava il potere spirituale, così è possibile che il sindacato, se messo – come un qualche pierino ha detto – nella condizione di doversi riformare, essendo ad esso sottratti tanti, se non tutti, i benefici di cui ormai immeritatamente gode, tornando a porsi come un organismo benemerito di sostegno alle debolezze di tanti lavoratori, ex-lavoratori e, magari, futuri-lavoratori, e smettendo di essere un agente della conservazione di un passato della vita civile e sociale (politica anche) e, soprattutto, del lavoro del ‘900, risorga o comunque mantenga una sua ragion d’essere.
Sappiamo bene che, secondo la Legge ferrea dell’oligarchia di Michels, tutti i movimenti si evolvono da una struttura democratica aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia, con un numero ristretto di dirigenti, sempre più svincolati dal controllo dei militanti di base, organizzata in forma burocratica. Cosicché, con il tempo, chi occupa cariche dirigenti si “imborghesisce”, allontanandosi dalla base e andando a costituire un’élite compatta, dotata di spirito di corpo. Nello stesso tempo, il movimento tende a moderare i propri obiettivi, tanto che l’obiettivo fondamentale diventa la sopravvivenza dell’organizzazione e non la realizzazione del suo programma.
Tuttavia, anche senza pensare ad improbabili rivoluzioni, si può ben credere e dire che il tempo del cambiamento radicale è arrivato e, come già sostenuto da molti esperti negli ultimi anni, il cambiamento è reso necessario, indispensabile dalla crisi nella globalizzazione, ormai decennale; dalla corsa incalzante della innovazione tecnologica, distruttiva di vecchi lavori per quanto creativa di nuovi impieghi; dalla spinta di tanti giovani del terzo mondo che hanno fame e sono arrabbiati. Così quando d’intorno a noi tutto cambia non possiamo non cambiare anche noi. Quando cambiano le condizioni, le modalità, la realtà del lavoro anche il sindacato deve cambiare. Così, se è lapalissiano che il sindacato prima di essere morto era ancora vivo, il sindacato potrebbe rinascere, rivivere se accettasse il cambiamento, anzi lo abbracciasse, senza che gli venisse imposto dall’alto, da fuori. Perché, in caso contrario, potrà continuare a giacere come una mummia in un qualche o in tanti mausolei, non necessariamente in piazze rosse, ma diventerà del tutto irrilevante.
Nasceranno, forse, nuovi organismi di rappresentanza e di assistenza dei nuovi, tanti, lavoratori agili, mobili, atipici, occasionali, temporanei, ibridi tra autonomia e dipendenza e dei vecchi, pochi, lavoratori temporaneamente stabili ma sempre in movimento da un impiego all’altro. Rinasceranno, forse, vecchie leghe di nuove solidarietà, vecchie mutue di nuovo conio, vecchie istituzioni di nuova cura. Ma il sindacato istituzionale, il sindacato post-corporativo, il sindacato esaù, che ha ceduto la primogenitura per un piatto di lenticchie, resterà morto.
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Art.1,2. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art.2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (…).
Art.3,2. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art.18. I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione (…).
Art.21,1. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Art.39. L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Art.40. Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.