Demografia e demagogia

Da tanto tempo, ormai, ci sentiamo ripetere considerazioni sul pluralismo etnico, sul multiculturalismo e ci sentiamo rammentare i benefici, sperimentati negli Stati Uniti d’America, del sistema del crogiolo; e poi ci sentiamo rimproverare la scarsa prolificità italica e la scarsa disponibilità di tanti giovani a tanti vecchi e nuovi mestieri; tutto ciò per giustificare la corrività della legislazione e dell’amministrazione di fronte ad una immigrazione selvaggia.

A parte il fatto che quanto sopra non ha nulla a che vedere con una nazione che ha un retaggio storico come il nostro, ben diverso dalle comunità del nuovo o del nuovissimo mondo, come America e Australia, sviluppatesi proprio con l’immigrazione, prima dal vecchio mondo e poi da tutto il sud del mondo; come pure diverso dalle realtà europee ex coloniali e con grandi tradizioni di accoglienza d’esilio, come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, che hanno dovuto o voluto accettare tanti immigrati; quello che ci manca è una filosofia nazionale della popolazione.

Che vuol dire? Vuol dire che manca una scelta sul metodo da adottare nei confronti degli immigrati, che definisca con consapevolezza e con conseguenzialità, come vogliamo che sia organizzata la convivenza civile italiana nel futuro.

Se vogliamo perseguire una logica di integrazione totale dell’immigrato, come in Francia, o una integrazione parziale, come in Gran Bretagna, o una non integrazione, salvo che per i fratelli separati, come in Germania.

Fino ad ora abbiamo visto solo improvvisazione da parte dei nostri governanti; solo volontà di beneficenza da parte di clericali e di anticlericali alla ricerca di nuove folle da portare nelle rispettive chiese, ma anche da parte di tante anime belle quanto sprovvedute; ma a ciò non ha fatto fronte un qualche tipo di organizzazione della convivenza, una qualche regolamentazione dei comportamenti, una minima pretesa di rispetto del nostro modo di essere e di vivere, a fronte, ovviamente, di un corrispondente rispetto delle culture allogene.

E nell’eccesso di permissivismo, mentre tanti hanno profittato e continuano ad approfittarsi di questi poveri, vediamo continuamente violate, senza apprezzabili reazioni, salvo quelle intemperanti di giovinastri attratti comunque dalla violenza, le nostre regole di convivenza civile, e le tante, troppe disposizioni che pure affliggono implacabilmente noi cittadini.

Eppure è vero che abbiamo bisogno di nuove braccia, di nuove disponibilità al lavoro scomodo e faticoso, di nuovi contribuenti netti al nostro insostenibile sistema di sicurezza sociale; ma facciamo di tutto per ottenere insieme al danno le beffe connesse con il lavoro delinquenziale, il lavoro dipendente al nero, il lavoro autonomo abusivo, di tanta, di troppa parte di questi immigrati.

C’è di peggio: noi ci permettiamo anche di rimborsare all’immigrato che sia stato regolarmente assunto, e per cui siano state versate le regolari contribuzioni sociali da parte del datore di lavoro, l’importo di tali contribuzioni, quando questi intenda rientrare al paese di origine, senza nessuna apprezzabile garanzia che non torni più.

Mentre non si pensa neppure lontanamente di pretendere dall’immigrato residente la conoscenza delle disposizioni di legge fondamentali e un impegno al loro rispetto, prima di concedere la cittadinanza e, magari già anteriormente alla concessione della cittadinanza, l’elettorato attivo; tutto ciò senza nessuna, anche minima pretesa, nei confronti dei paesi di provenienza di costoro, di una qualche reciprocità.

ottobre1997