Un canto funebre non è forse quanto di più adatto all’atmosfera prenatalizia.
Quando molti si apprestano a partire per luoghi anche esotici, per vacanze spensierate, per sfuggire la quotidianità.
Tuttavia si avverte un diffuso fremito di incertezza, quasi di paura.
Eppure di crisi ne abbiamo viste tante. Le abbiamo viste arrivare e le abbiamo viste passare.
Ma la nostra filosofia era concentrata nella frase “tutto s’aggiusta” completata dai più pessimisti, o meglio, dai meno ottimisti, da un “prima o poi”.
Che cosa è cambiato?
Che cosa ci fa dubitare, oggi, che, anche prima o poi, non tutto si aggiusti?
Forse siamo più vecchi. Certo, la vita media aumenta, nascono meno bambini e, quindi, l’età media degli italiani continua ad innalzarsi.
E i vecchi, pur avendo di più, temono ancor più di perdere ciò che hanno conquistato; temono di non essere più in grado, nel tempo residuo, di rifarsi; temono di non poter lasciare a sufficienza ai figli; dubitano di poter perdere anche il rispetto dei giovani a cui hanno forse dato troppo: troppe cose e poche parole, idee, esempi.
Ma non sono soltanto i vecchi che hanno timore.
Timori albergano nei cuori dei giovani.
Timori non mancano di nutrire anche coloro che non sono nè vecchi nè giovani.
Che cosa mai ci manca, oggi, che prima avevamo?
Forse possiamo dire di avere perso la nostra forza e la nostra vita, di aver perso finanche la fierezza che faceva credere al nostro genio.
Forse abbiamo perso la fede in noi stessi; quanto meno la speranza di riuscire a cambiare le cose.
Eppure, soltanto pochi mesi fa eravamo nel colmo dell’euforia del cambiamento, un cambiamento atteso, un cambiamento realizzato, un cambiamento da completare.
La pacifica rivoluzione italiana, politica e sociale, sembra rivelarsi una penosa, dal punto di vista politico e sociale, rivoluzione astronomica: un moto gravitazionale che ci riporta inesorabilmente al punto di partenza.
Incerti, stanchi, disillusi.
Tanto da non farci nemmeno chiedere più “la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe”,” la formula che mondi possa aprirci”, perchè sappiamo che altro non possiamo dirci, se non “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Tuttavia dobbiamo scuoterci, reagire, alzarci in piedi.
Se questa è la normalità, se è così un Paese normale, ebbene dobbiamo dire che noi non la vogliamo.
Noi vogliamo l’eccezione.
dicembre 1996