Lo Stato asociale

C’è grande incertezza tra gli studiosi e tra la gente comune sugli elementi costitutivi di uno Stato sociale.

Negli anni sessanta si portavano ad esempio le realtà scandinave, con i loro meccanismi di assistenza del cittadino “dalla culla alla tomba” e si citava, sul piano della tutela della salute, il sistema inglese.

In Italia, abbiamo fatto una riforma sanitaria “all’inglese” quando gli inglesi stavano già rivedendo, al ribasso, il loro sistema e, ovviamente, abbiamo gestito il sistema sanitario pubblico all’italiana: dapprima dando tutto a tutti; poi cominciando a selezionare i destinatari, a chiedere concorsi di spesa, a distinguere tra malati e malattie; sempre comunque scontentando i più che facevano un rapporto tra costi e benefici.

Mentre, quanti non erano, in un modo o nell’altro, inseriti stabilmente nel sistema, si vedevano offrire prestazioni indecenti ed erano costretti, in un modo o nell’altro, a pagare nuovamente il servizio, che era loro indispensabile.

Così è avvenuto per la previdenza; seguendo il criterio generale del dare indipendentemente dal bisogno e dal merito, abbiamo continuato a dissipare ricchezza non creata e a creare un debito pubblico astronomico.

E, anche quando il modello scandinavo è stato salvato dal crollo, imminente, con adeguate scelte di ridimensionamento decise tempestivamente da una classe dirigente che, consapevole del mutamento avvenuto nel frattempo, si è assunta la responsabilità di limitare i servizi per salvare il sistema.

Noi no! impavidi, sprezzanti del pericolo, abbiamo continuato a privilegiare l’esistente, per non scontentare le clientele; le minoranze numerose e agguerrite; i gruppi facilmente movimentabili contro qualunque avversario politico.

E’ talmente sperequato il nostro Stato sociale che sarebbe più giusto considerarlo uno Stato “asociale”.

Infatti, come considerare diversamente uno Stato che costringe i propri sudditi a nascondere le proprie ricchezze, salvo quelle immobiliari, a meno che non siano abusive; ad evadere come possibile una tassazione di rapina; a nascondere la propria attività agli istituti previdenziali e, magari, nel contempo, a sfruttare la pubblica assistenza.

Poi le statistiche ufficiali ci dicono che quasi tre milioni di italiani, prevalentemente giovani, non trovano un’occupazione; mentre le stime ufficiose ci segnalano che oltre tre milioni di italiani lavorano in nero e non hanno alcuna intenzione di cambiare la loro posizione.

Malgrado tutto ciò dobbiamo subire nello stesso tempo, il dileggio dei popoli meglio guidati del nostro e la pena di un governo tetragono a qualunque confronto con la realtà.

Fino a quando abuseranno della nostra pazienza? fino a quando non sarà finita.

Allora? se nel ’68 gli universitari francesi auspicavano la fantasia al potere, noi nel ’97 possiamo pensare alla fantasia contro il potere.

… omissis …

aprile1997