L’ombra della sera

L’ombra della sera può essere quella famosa statuetta etrusca alta e sottile che ricorda il sole basso sull’orizzonte, con le ombre degli uomini lunghe e strette, ma può essere anche quel velo di tristezza che ci assale sul finire dell’esistenza.

Ma ciò che più tormenta non è tanto la decadenza del fisico, più o meno accentuata, ma sempre inevitabile e, quindi, accettabile, quanto il decadimento delle facoltà intellettuali, la perdita della memoria, la demenza o il marasma senile.

L’allungamento della vita, a quanto pare, accentua tali fenomeni tristi, che riducono persone vere ad un mero simulacro di umanità; le portano a sembrare meno che bimbi, bisognosi di continua assistenza; le rendono quasi dei vegetali, di quando in quando parlanti e talora tremanti.

A volte traspare, in questi ruderi umani, qualcosa dell’originaria bellezza o dell’acquisita sapienza, ma questa fugace trasparenza non attenua minimamente il disagio della loro vista e, contrariamente a quanto può avvenire di fronte ad un frammento di un’opera d’arte, troviamo di sovente difficile, se non impossibile, ricostruire con l’immaginazione le persone che erano.

E anche se, diversamente dai ruderi dei monumenti, ci sovviene la memoria, il ricordo non fa che accrescere il dolore per la perdita dell’esistenza di una persona cara, di un amico, di un nostro simile.

In quella morta vita noi contempliamo con disperazione, quando ce ne viene data l’occasione, forse a monito, la possibile fine indegna della nostra stessa vita.

Come non chiederci, allora: se un dio ci ha voluti a sua immagine e somiglianza, come può lasciarci senza un barlume di consapevolezza di noi; senza alcuna capacità di intendere e di volere; senza il libero arbitrio che, solo, ci fa uomini vivi?

febbraio1998