Da italoscettici o italomasochisti siamo stati euroentusiasti e restiamo euroillusi.
Speravamo che l’Europa ci consentisse di venir fuori dal marasma istituzionale in cui versavamo, e versiamo ancora, senza pagare un dazio troppo elevato alle ideologie.
Contavamo che il rigore finanziario tedesco, la capacità amministrativa francese, il liberismo economico inglese, ci contagiassero e, uniti alla grande capacità di intraprendere italica, ci portassero ad un nuovo, più sano, sviluppo.
Sbagliavamo; oh quanto sbagliavano.
L’Europa di Maastricht ci da vincoli, ci pone obblighi di risultato ma ci lascia liberi sulle scelte necessarie per il loro conseguimento.
La logica di un mercato comune, impostato su criteri teutonici, richiede la convergenza su grandi schemi produttivi e commerciali, al fine di una tendenzialmente libera circolazione delle merci, degli uomini e dei servizi.
Ma i nani della politica nazionale, dopo aver perso l’occasione di incidere sull’impostazione del mercato unico perdono continuamente il destro di mitigare, in senso mediterraneo, il peso delle direttive europee in sede di recepimento.
Le caratteristiche della nostra struttura produttiva non sono tenute in considerazione e le nostre aziende vengono regolarmente penalizzate, da continuamente risorgenti ideologismi, devastanti fondamentalismi, burocratismi assortiti.
Dobbiamo al fine riconoscere che l’Europa, piuttosto che una grande occasione per il nostro sistema produttivo e la nostra società, rischia di configurarsi come un rischio assoluto.
La cittadinanza europea per noi non vale perchè non siamo stati in grado di rispettare i parametri di Schengen, non avendo voluto mettere sotto controllo l’immigrazione dal terzo mondo.
La libera circolazione degli uomini con formazione professionale italiana è in forse, non tanto per la carenza dell’istruzione che, malgrado tutto, conserva punte di eccedenza, quanto per talune altre carenze.
La moneta unica, poi, e il rientro nel sistema monetario europeo, subito con i nuovi meccanismi di penalizzazione per il superamento della banda di oscillazione, a fronte di labili schemi di garanzia e controassicurazione rispetto alla speculazione internazionale, potrà facilmente risultare una camicia di Nesso per il nostro sistema di trasformazione.
E, infine, la scelta economico-finanziaria del Governo dei prodi alfieri della sinistra, verbalmente destinata a farci entrare in Europa, che penalizza lo sviluppo e l’occupazione, pur di non incidere sulle grandi anomalie di uno Stato sociale, o meglio assistenziale, potrebbe portarci, ad una crisi finale e forse ad una traumatica frantumazione della Nazione.
Chi è che lavora per il Re di Prussia oggi?
ottobre 1996