Anche se è giusta la contestazione, da parte della Confedilizia, della svendita del patrimonio di edilizia abitativa pubblico, con il relativo presumibilmente inutile ricorso alla Antitrust; anche se è più che valida la analoga considerazione dell’Associazione nazionale costruttori edili-ANCE; anche se è ripugnante che, come nella orwelliana fattoria degli animali, alcuni animali – i porci – siano più uguali degli altri; ci converrebbe che le case, nonchè svendute, agli inquilini pubblici venissero regalate.
Regalate, sì; purché se le prendano tutte e subito. Regalate anche agli inquilini eccellenti e a quelli morosi.
Non è follia regalare un patrimonio pubblico che non soltanto non rende nulla o quasi nulla, sul piano della rendita immobiliare, ma anche non frutta nulla sul piano fiscale e, oltretutto, costa tanto sul piano della manutenzione e dell’amministrazione.
Del resto, quando un’azienda privata non va bene che cosa fa un qualunque imprenditore che non voglia fallire? vende, se ne ha, quanto prima e quanto meglio può, gli immobili non strumentali, per fare cassa da investire nella produzione.
Se poi l’imprenditore di cui sopra ha anche degli impianti inefficienti, dalla cui attività ricava crescenti perdite, che fa? se può vende anche questi e, se non trova nessuno disposto a comprarli, se ne disfa in qualunque modo.
Quello che è sempre decisivo in qualunque operazione di risanamento finanziario è il fattore tempo: bisogna fare presto; è una banalità, ma non per questo è meno vero, che il tempo è danaro.
Come è noto, lo Stato degli italiani ha un pauroso debito pubblico, che continua a crescere e il cui servizio da solo assorbe un quarto delle tasse che paghiamo; inoltre il nostro Stato, che fatica a mantenere la dignità di una esse maiuscola, per varie ragioni, continua a spendere, di anno in anno, più di quanto incassa; ovviamente i deficit annuali si cumulano al debito e accrescono il cumulo degli interessi sul debito; di qui la pretesa di un continuo aumento delle tasse di cui i proprietari di case sono ben consapevoli e succubi.
Infatti, viene detto dagli economisti governativi che non possono essere ridotte le tasse finchè, anche senza considerare i famigerati parametri di Maastricht, non sia stato arginato il deficit e bloccata la crescita del debito.
Altri economisti liberisti sostengono tesi diverse che, puntando sullo sviluppo indotto da una quanto più ampia liberalizzazione delle attività produttive private e anche da una certa riduzione immediata delle tasse, e contando su una ampia dismissione di proprietà pubbliche, oltre che su un proficuo utilizzo di quelle proprietà pubbliche non vendibili, portano al medesimo risultato, forse prima e forse meglio.
Pertanto, le considerazioni di Confedilizia e ANCE sono giuste, anche se tengono troppo conto del dato congiunturale: un mercato della costruzione e della vendita reso sempre più depresso, malgrado la voglia di casa degli italiani, dai problemi della legislazione e dell’amministrazione pubblica, della fiscalità e della parafiscalità su trasferimenti, possesso e gestione del bene casa.
Ma non considerano, da un lato, l’effetto finanziario, di cassa per l’erario della vendita-svendita e, dall’altro lato l’effetto economico di una possibile, necessaria attività di recupero del patrimonio immobiliare pubblico privatizzato e, poi, di ristrutturazione delle nostre città.
In conclusione: se la cultura e la realtà attuali non ci consentono le aste con cui il Regno d’Italia cedette i beni ecclesiastici ai privati, svendiamo pure, svendiamo subito.
Facciamo provare ai privilegiati inquilini pubblici le “gioie” della proprietà della casa.
Una sola avvertenza sarebbe opportuna, dato il grave problema delle aree che comincia ad affliggerci e sempre più ci affliggerà in seguito, quella di mantenere la proprietà pubblica dei suoli.
marzo 1996